La mostra di Gianni Menichetti, ultimo esistenzialista di Positano - Le Cronache Positano
Positano

La mostra di Gianni Menichetti, ultimo esistenzialista di Positano

La mostra di Gianni Menichetti, ultimo esistenzialista di Positano

Di Vito Pinto

Le composte armonie cromatiche, in esposizione lungo le pareti della sala dell’ufficio turistico “Luca Vespoli” di Positano (13-25 settembre 2024), che Gianni Menichetti ha raccolto, con garbato stile orientaleggiante, su fogli di carta a rappresentazione di un mondo sognato e pur presente in quel Vallone del fiume Porto sarebbe riduttivo chiamarle disegni. Ognuna di quelle opere, infatti, è una riflessione, una meditazione che l’artista compie dentro il proprio animo, è un vivere in sintonia con la natura, la flora, la fauna di quel Vallone positanese che da decenni Gianni Menichetti, in attuazione di un lascito d’amore della sua compagna Vali Myers, difende dalle incursioni del cemento. Non a caso nel pregevole catalogo alla mostra, curata da Enzo Esposito, elegante maestro di saperi e sapori, il sindaco Giuseppe Guida annota: «Attraverso le sue opere Gianni Menichetti ci offre un affascinante sguardo su una realtà estatica e incorrotta, dove il tempo sembra essersi fermato. Il Vallone Porto rappresenta per noi positanesi il miraggio di una bellezza quasi mitologica, una piccola Arcadia, feconda e lussureggiante, il sogno senza tempo di un mondo puro, dove regna la pace e l’armonia con la natura. E’ un luogo dell’anima, lontano dalle brutture della civiltà umana, dove si riassaporano emozioni che sentiamo di non riuscire più a provare nel consesso civile». Ecco il segreto: una “bellezza mitologica” che genera la magia dell’arte di un signore silenzioso che offre all’altrui attenzione il suo intimo amore per quel luogo del cuore. Scrive Giuseppe Vespoli, delegato alla cultura del Comune di Positano: «La mostra non è solo l’esposizione delle opere dell’artista, ma anche un viaggio emozionante nella sua vita, nelle sue passioni e nei suoi sogni. Nelle sue opere si riflette la sua profonda connessione con la natura e con la spiritualità, con la bellezza e con la solitudine del Canyon che ha scelto come dimora per così tanti anni». Paziente eremita di spiritualità universale, senza tempo, Gianni Menichetti trascorre le giornate ad accudire la colonia di animali di cui si contorna e a dialogare con le voci della Madre Terra, a meditare sul mutare delle stagioni che vestono e denudano gli alberi, offrono fiori di sambuco e profumi d’erba rinata. A sera si raccoglie nella luce dorata di una antiquata lampada a gas a scrivere poesie, ad ascoltare musica da una radio a pile, a dipingere la volpe della sua amata Vali e la salamandrina, simbolo della sua battaglia in difesa della verginità di questo canyon. Una battaglia che ora si fa anche difesa di questo piccolo, misterioso animaletto che sta scomparendo, rischiando di restare soltanto nei ricordi di studiosi e nei disegni di Gianni Menichetti. Dice: «E’ un anfibio assai raro, endemico della nostra penisola. La salamandrina è l’incarnazione del delicato e vulnerabile equilibrio di un ecosistema primevo, assediato dal lento ma inesorabile incedere dell’involutivo progresso umano, dal quale va protetta. Anche se, ormai, mi sento anch’io come un animale in via di estinzione». Gianni giunse in questa parte di “Costa Divina” 50 anni fa e da allora non ha più lasciato quel Vallone dove la sua compagna, la ballerina Vali Myers, aveva messo il suo trono di ultima esistenzialista. Medita Gianni dall’alto del suo osservatorio a sintesi di natura, spaziando lo sguardo su quel mare dove nei secoli si sono incrociati miti e leggende, storia e storie. «Qui – annotava Vali – possiamo vagare nei sogni e nella valle. Abbiamo grotte e rupi e minuscole creature selvatiche, piante e alberi e un ruscello e cascate». Un’oasi naturale dove persiste il profumo del rosmarino e del mare, sospesa tra i tempi delle stagioni e l’ansia di un “progresso” che vorrebbe violentarla. In questo mondo del silenzio, rotto solo dal lento fluire del ruscello, Gianni dipinge la sua natura, quella che lo circonda e che gli garantisce l’agognata libertà di essere vivo. Con i suoi occhi neri, profondi, incastonati in un viso di antico sapiente, Gianni scruta l’invisibile per tutti. La testa è coperta a volte da un turbante, altre da una sorta di kippah, sulla fronte è tatuata un’impronta di volpe o segno di una improbabile casta indù. Quasi in sussurro dice: «La vita è bellezza anche se è una grande battaglia. E in questo canyon la vita è un sogno divenuto realtà ed una realtà che continua ad essere un sogno». Sono allineati sulle bianche pareti dell’ampia sala di turismo, quasi a raccordare l’anima alla natura, i segni cromatici, le opere silenziose di Gianni Menichetti: ecco Madame Dragonfly accompagnata dai versi “uscir nell’aria, uscir a bere i bento”, il cane Pulci dai grandi occhioni che ti guardano con tenerezza, Bastienne, la capra nera, my black goat (sottolinea Gianni), da lui abbracciata e la salamandrina simbolo di una infinita battaglia. Più oltre è il volto di Mali Myers, affascinante e ammaliatrice con la sua rossa chioma australiana, che stringe la sua Foxy. Nell’intimo di quella che fu la “Casina del Principe” il pennino a inchiostro di china traccia segni di cromie antiche, orientali; nell’aria è accordo di parole non dette… Ritornano alla mente i versi di Eduardo Sanguineti: «Impara a leggere quanto ha scritto il silenzioso amore». Sussurra Gianni: «A volte sto in lunghi silenzi ad ascoltare…» la Macha Mama, la grande madre Terra, il tamburo dell’universo… una “risata” di volpe, il timido richiamo di una cinciallegra chiacchierona. Vito Pinto