La pièce affidata a Teatro Del Grimaldello e interpretata da Andrea Torre, Alessandro Gioia e Alfonso Tramontano Guerritore, ha conseguito il Premio della Critica al Festival di Rimini Voci dell’anima. Presentati anche i completi laboratori teatrali che si svolgono a Salerno ogni giovedì incentrati anche su mimo, fonetica, dizione, psicologia del personaggi e scherma.
Di GEMMA CRISCUOLI
La purezza ha una sua spregiudicatezza. Mette in risalto ciò che sembra insignificante, si ancora al ricordo, alimenta uno struggimento amaro. È una storia di violenza e nostalgia “Fiore ammazzato”, la pièce diretta da Antonio Grimaldi e interpretata da Andrea Torre, Alessandro Gioia e Alfonso Tramontano Guerritore, che ha conseguito il Premio della Critica al Festival di Rimini Voci dell’anima.
Qual è a suo avviso la forza della scrittura di Alfonso Tramontano Guerritore, su cui si basa il suo spettacolo?
“La scrittura di Alfonso sa essere arcaica e simbolica ma anche vividamente concreta. Sa generare echi profondi, partendo da sensazioni che si possono sperimentare facilmente nel quotidiano senza per questo cadere nella trappola della banalità”.
Come vive il suo ruolo di regista? Offre indicazioni molto precise o accoglie anche i suggerimenti che emergono durante le prove?
“Vivo questo compito in modo molto cerebrale. Durante la messinscena assumo l’atteggiamento dello psicologo o del chirurgo, perché per me è essenziale spingermi oltre l’assodato, entrare in una sintonia profonda con i miei interpreti. È un momento prezioso di totale messa a nudo, in cui ho la sensazione di immedesimarmi nel mio interlocutore. Il palcoscenico è però comunque frutto di un lavoro corale: per me è un piacere osservare un interprete che offre alla mia linea d’azione un’altra visione”.
I tre personaggi di “Fiore ammazzato” vivono in qualche modo il rimpianto della purezza. Come ha orchestrato il loro rapporto?
“L’innocenza, che è propria della vittima, riesce in modo allusivo a giudicare ciò che accade ai due giovani, che da un certo punto di vista possono essere definiti malcapitati: se il contesto che li stritola fosse stato diverso, avrebbero certo scoperto in sé nuove possibilità. I protagonisti, che hanno causato la morte del terzo ragazzo, possono essere definiti cani randagi, che anche dopo la morte continuano a mordersi la coda e si accusano l’un l’altro, nonostante cerchino di ricostruire il percorso che li ha condotti dove sono attraverso l’infanzia. La colpa è sempre dei padri, della loro superbia nel credersi padroni delle vite altrui”.
Quale caratteristica un attore non può fare a meno di avere per essere convincente?
“Un attore deve vivere sul palco il proprio vissuto: deve portare tutto se stesso. Deve essere cuore pulsante”.
Come sono strutturati i suoi laboratori?
“I miei laboratori, che si svolgono a Salerno ogni giovedì alle 20.30, sono incentrati anche su mimo, fonetica, dizione, psicologia del personaggi e scherma”.