La lezione di Giuseppe Albanese - Le Cronache
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La lezione di Giuseppe Albanese

La lezione di Giuseppe Albanese

Questa sera, il pianista inaugurerà il nuovo cartellone del teatro dell’Opera di Tirana, eseguendo la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, op.43. Abbiamo raggiunto il maestro nel corso delle prove

Di Olga Chieffi

Sarà il pianista Giuseppe Albanese a chiudere stasera sul palcoscenico del teatro dell’Opera di Tirana l’anno celebrativo del doppio anniversario, di Sergej Rachmaninov, con la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, op.43, che affronterà  col suo pianismo “fatto” nel senso greco del poiein, che ha la stessa radice di poesia, di ricerca, intensa, sfibrante, realizzante in ogni momento la giusta ed innovativa balance. 

E’ il protagonista del concerto inaugurale del cartellone inaugurale del Teatro dell’Opera di Tirana. Questa sera verrà riproposto il binomio con lei esecutore delle 24 Variazioni su tema di Paganini di Rachmaninov e il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli sul podio, quali linee interpretative seguirà per questa opera del genio russo?

“Mi sforzerò di sottolineare, di comunicare al pubblico l’aspetto compositivo della Rapsodia su tema di Paganini che andrò ad eseguire. L’aspetto che colpisce l’ascoltatore è non solo l’enunciazione del tema del XXIV Capriccio di Niccolò Paganini ma anche quello del Dies Irae di Tommaso da Celano. L’idea stupefacente di Rachmaninov è giusto quella di aver trovato una parentela tra questi due temi, anzi un’interscambiabilità, arrivando addirittura a sovrapporli, considerando il Dies Irae quale il lato nascosto della medaglia, del tema di Paganini, con tutto ciò che comporta dal punto di vista poetico. Il tema del Dies Irae è oscuro, torvo, con un significato notevole che fa pensare alla morte, col suo senso ancestrale, spirituale. Rachmaninov inizia scherzando ma capiamo, con l’enunciazione del tema del Dies Irae, che è uno scherzo macabro, sinistro, un ghigno malefico, più che un sorriso giocherellone. Il resto della Rapsodia è davvero un viaggio che definire multiforme e variopinto è quasi un eufemismo, una sorta di concerto in quattro sezioni distinte, con le variazioni in cui Rachmaninov quasi crea dei microcosmi, nonostante alcune siano connesse tra di loro. Si riesce ad individuare una macro struttura, con la XII variazione, il minuetto, che si lega al tema della follia di Spagna, che evocante le precedenti variazioni su tema di Arcangelo Corelli, quasi cartone preparatorio per queste dedicate al Paganini, una danza antica carica di reminiscenze direi cinquecentesche, il tema in Re minore dei marinai che dopo la scoperta dell’America andavano con grave rischio di malattie e quindi di morte; dalla XII al lirismo della celeberrima XVIII, in cui Rachmaninov opera l’ennesima magia, rivoltando il tema di Paganini e facendone una melodia struggente, si va  sino alle allusioni metropolitane jazzistiche della sezione in fa maggiore, simbolo di un compendio non solo compositivo, ma poetico, convivendo nella stessa pagina atmosfere molto diverse. E’ questa opera di Rachmaninov una delle più pregevoli poiché rende quasi ubriachi, annullando l’attualità spazio-temporale, veramente un piccolo miracolo”.

Sappiamo che è conquiso anche dal daimon degli studi filosofici. Vi è un Rachmaninov funambolo dello strumento e pianista-vedette ammirato, vi è un Rachmaninov segreto, malinconico e pudico, che «si rivolge al nostro cuore con il linguaggio del cuore, con un’intensità che ancor oggi ci commuove profondamente poiché ne siamo privati». Conviene con Jankélévitch che Rachmaninov ha «fondato» il linguaggio della musica contemporanea, ma, a dispetto dell’ostentazione del virtuosismo, senza ostentazione della sua qualità, cioè senza la minima coscienza compiaciuta di essere precursore di un futuro unilateralmente preformato?

“ No, non sono d’accordo con la dichiarazione di Jankélévitch, poiché Rachmaninov è stato tacciato quasi sempre dall’accademia di epigonismo romantico, quale ultimo dei simbolisti. E’ vero, però che Rachmaninov ha abituato il pubblico a scritture un po’ opulente, sontuose dal punto di vista del segno musicale e aggiungo che nessuno dopo Liszt è riuscito a scrivere in maniera parimenti efficace per pianoforte e pianoforte con orchestra. Convengo sulla poetica di  Rachmaninov raramente estroversa ed esteriore, c’è sempre un’ombra una vena malinconica in ciò che egli compone, una vena decadente”.

Come vede la proliferazione di questi enfant prodige, arrivismo, certa furia di suonare sempre e comunque incalzante più che mai, Reels e TikTok e, direi, anche un allineamento su di un piedistallo medio-alto, ma la scintilla vera a volte manca. E il pubblico come lo trova?

“Il mondo sta cambiando, con esso la civiltà e la società che si ritrova condizionata dall’intelligenza artificiale. L’uso dei social facilita la comunicazione, da un’altra parte, però, la influenza per qualità e quantità: i sempre più messaggi brevi, per cui si ha sempre la sensazione di aprire dei piccoli spezzoni, finestre su determinati momenti. Naturalmente a questa abitudine chi segue la musica “seria”, per dirla con Adorno, difficilmente vi si adatta. Gli enfant prodige ci sono sempre stati ed è proprio questo tipo di comunicazione che li ha fatti per così dire proliferare. Il pubblico lo trovo bisognoso di emozioni. Potrebbe sembrare una frase retorica, ma anche l’interpretazione sta cambiando in questo senso, ovvero verso la ricerca di emozione, non di sentimento, poiché l’emozione è incontrollata, mentre nel sentimento entrano in gioco coscienza e significato. Dopo strutturalismo e neoclassicismo c’è bisogno di inseguire l’emozione proprio per divulgare la nostra arte anche presso il pubblico dei non addetti ai lavori”.

Su quali palcoscenici la porterà il prossimo futuro? A quali autori dedicherà il prossimo anno?

“Sicuramente oltre ad alcuni punti fermi del mio repertorio quali il concerto di Schumann, quello di Nino Rota o la Rhapsody in Blue di George Gershwin, o il Rac 2, mi dedicherò ai cosiddetti autori “giubilari”, ovvero Ferruccio Busoni, Leo Janàcek, Arnold Schoenberg , Charles Edward Ives e Luigi Nono, un repertorio certo non semplice per il pubblico e anche per me che affronterò con grande curiosità, in particolare per l’esperienza, sicuramente faticosa ma totalizzante, con la seconda sonata di Ives, la monumentale Concord, che porterò in giro per l’Europa”.

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