Dies irae da Rachmaninov a Mahler - Le Cronache
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Dies irae da Rachmaninov a Mahler

Dies irae da Rachmaninov a Mahler

Stasera alle ore 20, concerto inaugurale dell’ autunno dell’Opera di Tirana, con Jacopo Sipari di Pescasseroli in doppia veste di direttore musicale e artistico, sul podio per la Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43 con Giuseppe Albanese e la I sinfonia Il Titano. In orchestra gli studenti del Conservatorio di Salerno

Di Olga Chieffi

Dopo un’estate ribollente per le masse orchestrali e corali, unitamente al balletto dell’ Opera di Tirana, guidato da Abigeila Voshtina, è giunto il momento di annunciare un autunno concertistico parimenti prestigioso. Il sovrintendente, in conferenza stampa, ha sottolineato i successi della scorsa stagione: “Nel corso dei prossimi quattro mesi – ha quindi annunciato Abigeila Voshtina – presenteremo i titoli importanti, a cominciare da stasera, di concerti sinfonici, opere e balletti, dalla Sinfonia “Titan” di Mahler, seguita dall’Oratorio Elias di Felix Mendelssohn Bartholdy, dal Balletto “Uni”, dalla prima del Folklore “Tumankuqe” Ensemble, l’Harabel Contemporary Dance Festival, i musical “Callas e Onassis”, “Arrëthyesi”, “Attila”, “Carmen” e tanti altri”. “Sarà il prossimo anno l’anno dedicato al centenario della morte di Giacomo Puccini – ha continuato il Maestro Jacopo Sipari nuovo direttore artistico del teatro – e titoli quali Tosca, Bohéme, Madama Butterfly, Suor Angelica e Turandot non potranno mancare in cartellone, insieme a qualche opera verdiana, gemme rilucenti affidate a interpetri che fanno parte del gotha del mondo musicale e che saluterà in orchestra giovani studenti dei conservatori italiani, per dar continuità a quella idea di ponte quale è la musica capace di unire generazioni, linguaggi, ere, segni”. Il concerto inaugurale della stagione ha un titolo “L’ira di Dio”, con due opere in programma: la Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43 con Giuseppe Albanese al pianoforte e la I sinfonia in Re maggiori, il Titano di Gustav Mahler. La rapsodia apre con una sorta di presentazione dei personaggi. Rachmaninov raffigura Paganini, il virtuoso per antonomasia, nelle prime sei variazioni, dominate dal pianoforte che elabora i vari aspetti ritmici, melodici e armonici del tema. La settima variazione introduce il tema del Dies Irae, scandito dal pianoforte con una sequenza di accordi. Rachmaninov era ossessionato da questo motivo fin dalla sua Prima Sinfonia, una sorta di simbolo del destino che ritorna spesso nei suoi lavori. In ogni caso, il carattere mefistofelico della citazione si ripercuote sulle tre successive variazioni, creando il contrasto drammatico tra Paganini e il suo diabolico antagonista. Il Tempo di Minuetto, che diventa nelle successive tre variazioni sempre più appassionato e ritmico, rispecchia il clima galante delle avventure amorose. Il lirismo di questa parte centrale raggiunge il culmine nella Variazione 18. Qui trionfa il classico pianismo di Rachmaninov, il fremito interiore della melodia, che avvolge la musica nel respiro della grande anima russa. Nel virtuosistico finale avviene lo scontro decisivo tra Paganini e il Diavolo, tra la vita e la morte. Il Dies Irae rimbomba nei corni e nei tromboni, come la voce del Commendatore, suggellando degnamente una partitura che mette al centro la gestualità drammatica del pianoforte romantico. A seguire penetreremo il  mondo di Mahler, con le sue incertezze e i suoi tormenti, le sue estasi e le sue disperazioni, che scardina in realtà le architetture della classica sinfonia e le apre a nuove prospettive. Un mondo popolato da ricordi, non di rado sinistri, da autocitazioni (soprattutto dalla raccolta Lieder eines fahrenden Gesellen), da “suoni della natura”, e da un senso della Natura intesa come forza panica, misteriosa e imperscrutabile. Suggestioni, che si delineano già nel primo movimento: una lenta introduzione affidata agli archi e ai legni, che conduce in un’atmosfera rarefatta e da sogno, l’intervallo di quarta, il canto del cucù, lontane fanfare di caccia, nostalgiche melodie al corno, il graduale profilarsi del tema principale ripreso dal secondo dei Canti di un viandante, dove si parla del risveglio della natura; ma anche misteriose figure musicali, che si trascinano su angoscianti ritmi di marcia. Nel secondo movimento domina una rustica baldanza da danza popolare, quella di un Ländler austriaco scandito da un passo vivace, ululati di corni e squillanti perorazioni delle trombe; nella sezione di mezzo si muove invece un valzer sinuoso e un po’ nostalgico. Un colore spettrale si stende invece sul terzo tempo, è una sinistra quanto grottesca marcia funebre, ispirata da un’illustrazione di Jacques Callot e ben nota ai bambini austriaci, intitolata Il funerale di un cacciatore. Quel corteo di animali del bosco che scortano la bara del cacciatore è da Mahler accompagnato con il celebre canone popolare da noi noto come Fra’ Martino campanaro: ma la melodia viene resa lugubre dalla tonalità minore, e sorgendo da un contrabbasso solo, sul sostegno di un ossessivo battito dei timpani, dà gradualmente vita a un corteo funebre stranito e allucinato, che coinvolge tutta l’orchestra. Echi di musiche da banda di paese e grottesche sonorità da circo rendono poi ancor più inquietante questo visionario scenario, dove si affaccia un motivo dolce e commosso, quello del Lied Die zwei blauen Augen. Breve idillio, vanificato dalla riapparizione della marcia funebre, che ora risuona ancor più fatale. Un vero e proprio grido squarcia il Finale, “il grido di un cuore ferito” lo chiamava Mahler: gesto dissonante e violento di ottoni e legni, che dà il via a un’incalzante marcia. Poi una melodia, struggente e dal profilo quasi ciaikovskiano, prima che si riaffacci ancora una volta quel tema marziale. E la marcia viene sospinta ora da toni sempre più trionfali, si trasforma in una spavalda fanfara che porta, rafforzata dal clangore degli ottoni, alla grandiosa e spettacolare affermazione del re maggiore finale. Una conclusione fin troppo magniloquente e affermativa: come già era avvenuto in Čajkovskij e come accadrà in Šostakovič, nell’eccesso di giubilo pare celarsi in realtà la disperazione forsennata di una grande inquietudine. “Disperazione – ha affermato il Maestro Sipari – che tutti noi del teatro di Tirana insieme agli allievi di Salerno Gaetano Apicella, Carmine Landi, Elpidio Matteo Buonpane, Antonietta Lamberti, Mauro Castiello, Davide Papa e Andrea Ronca, ci sentiamo di esprimere col segno ineffabile della musica per la tragedia consumatasi a Napoli. La nostra esecuzione della sinfonia, di cui il corno strumento di GiovanBattista Cutolo, è protagonista, come di buona parte della musica di Mahler, possa evocarne l’anima che sarà sempre tra noi”.