La guerra di Spartaco contro i Romani finì nel salernitano: vera ricostruzione - Le Cronache
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La guerra di Spartaco contro i Romani finì nel salernitano: vera ricostruzione

La guerra di Spartaco contro i Romani finì nel salernitano: vera ricostruzione

di Oreste Mottola
Ancora oggi vi sono località sul fiume Calore, che ricordano il suo nome, come ad esempio Castelcivita, con il Ponte di Spartaco, e le suggestive grotte, in cui la tradizione popolare tramanda che i ribelli spartachisti abbiano trovato ricovero, ed infine le Gole di Tremonti in tenimento del Comune di Giungano, fra Capaccio e Trentinara, nelle cui gole si sarebbero accampati altri reparti. Nel comprensorio di Altavilla Silentina, vi sono località i cui nomi: da Scanno alla Chianca, fanno pensare a luoghi di grandi battaglie, di massacri e fosse comuni. La battaglia del Silarus o del Sele è stato un confronto militare avvenuto nel 71 a. C., nel contesto della terza guerra servile tra le forze romane di Marco Licinio Crasso e lo schiavo ribelle Spartaco. Quest’ultimo fu sconfitto e ucciso in battaglia. Lo scontro avvenne vicino alla foce del fiume Sele, a sud della Campania, in Italia. La fuga verso il Sannio dei ribelli sottrattisi alla trappola di Crasso sull’Aspromonte subì una battuta d’arresto in Lucania, dove un gruppo di Germani e di Celti, capeggiati da Casto e Gannico – le fonti parlano di più di 3mila uomini – decise di staccarsi dall’esercito di Spartaco e di proseguire per la propria strada. Un dissidio etnico o una divergenza di obiettivi rese la spaccatura insanabile. La notizia di questa scissione non poteva che far piacere a Crasso: un esercito diviso sarebbe stato più facilmente attaccabile, così come sembrava scemare il pericolo che i ribelli, ridotti di numero, potessero pensare di aggredire Roma. Il gruppo degli scissionisti si era accampato in un luogo non meglio precisato dei dintorni di Paestum, forse nell’area paludosa tra la città e la foce del fiume Sele oppure sul Monte Soprano (secondo alcuni l’antico Camalatro) che, dalle spalle di Capaccio (Salerno), sovrasta la fertile pianura non lontana dalla via Annia-Popilia e dalla costa tirrenica.
Certo è che alcune donne celte, da un’altura scorsero i Romani in avvicinamento, riuscendo a dare l’allarme. In realtà si trattava solo di un gruppo di soldati mandati in avanscoperta, mentre Crasso si preparava a sferrare l’attacco principale da un’altra direzione. E senza dubbio i romani avrebbero massacrato l’esercito ribelle se non fosse improvvisamente accaduto l’imprevedibile: l’arrivo di Spartaco. Non è un caso che il gladiatore si trovasse in zona, essendo nei pressi il punto in cui la deviazione per il Sannio abbandonava la via Appia, così come non è escluso che Spartaco, mantenendosi a distanza ravvicinata dagli ex compagni, sperasse di riguadagnarli alla sua causa.
LICINIO CRASSO SCONFIGGE I RIBELLI SCISSIONISTI
L’arrivo di Spartaco sparigliò le carte di Crasso, salvando temporaneamente l’esercito scissionista, ma presto i Romani tornarono ad attaccare con uno stratagemma tattico, ovvero dividendo la cavalleria in due gruppi in modo che uno tenesse impegnato Spartaco in schermaglie e l’altro spingesse i Celti e i Germani in campo aperto dove lo aspettava la fanteria di Crasso. La battaglia ebbe luogo in un posto chiamato Cantenna, omonimo del monte che sorge nei pressi dell’odierna Giungano, borgo a pochi km da Capaccio. Strenua ed eroica fu la resistenza in battaglia dei ribelli di Casto e Gannico, sconfitti con perdite che, racconta Plutarco, ammontavano a 12.300 morti; è verosimile che numerosi siano stati i prigionieri e i fuggitivi forse riunitisi con Spartaco. Mentre i Romani gioivano per quella schiacciante vittoria, recuperando molte delle insegne perdute nelle disastrose battaglie precedenti, Spartaco – narrano le fonti – convinse i suoi uomini a ripiegare verso i monti di Petelia. Sebbene non manchi chi ritiene che questa località sia da identificarsi con Atena Petillia (odierna Atena Lucana), cittadina ubicata a una sessantina di chilometri, altri come Appiano e Plutarco, sostengono invece che la destinazione di Spartaco fosse Petelia, piccola città della Magna Grecia soggetta a Crotone, sita sul versante orientale dei calabresi monti della Sila presso l’odierna Strongoli, circa 300 km più a sud; una destinazione troppo lontana se considerata in rapporto alla rapida successione degli eventi narrati dalle fonti. Lo storico Barry Strauss si dice infatti concorde con l’autore tardo-romano Paolo Orosio che colloca il luogo nei pressi delle sorgenti del fiume Sele, site nel territorio dell’odierna Caposele (Avellino), oggi in Campania ma allora in territorio lucano. Non è forse un caso che proprio in quest’area, a metà del secolo scorso, furono ritrovate armature e armi di epoca romana, che potrebbero risalire proprio alla battaglia del 71 a.C. Una tradizione vuole che forte di quella vittoria, egli avesse deciso a quel punto di virare a sud-est per raggiungere la città portuale di Brindisi, porta marittima per l’Oriente, in un nuovo tentativo di lasciare finalmente l’Italia. Avrebbe quindi dovuto guadagnare con i suoi la via Appia, nei pressi di Aquilonia, passando appunto per Caposele, ma lungo la strada ricevette notizia che a Brindisi era appena sbarcato Marco Lucullo, reduce dal successo in Tracia. Raggiungere quel porto avrebbe significato infilarsi nella fossa dei leoni.
A quel punto, secondo le fonti, prese definitivamente corpo nei ribelli, esaltati dalla recente vittoria, l’intenzione di affrontare Crasso, visto come un ostacolo da rimuovere prima dell’ormai prossimo arrivo di Pompeo. E a tal proposito alcune fonti parlano di un vero e proprio ammutinamento dei soldati contro l’atteggiamento più cauto di Spartaco e dei suoi luogotenenti, altre invece attribuiscono proprio al gladiatore la decisione di cercare lo scontro con Crasso, in una lotta per la libertà fatalisticamente spinta fino alla morte. Fu in ogni caso una scelta che Plutarco, nel suo racconto degli eventi, giudicò deleteria per il destino dei ribelli.
I parte