di Andrea Pellegrino
«Mio figlio non mi ha mai chiesto di morire, ha chiesto di essere addormentato». Ruota intorno a queste dichiarazioni e alle intercettazioni telefoniche l’accusa di omicidio contestata al dottor Alessandro Marra, il medico che ha iniettato il farmaco letale che ha provocato la morte di un giovane malato terminale. Il fatto risale allo scorso 18 gennaio, quando il medico si reca a casa del ragazzo somministrando 60 milligrammi di Midazolam. «Una dose – scrivono gli inquirenti – capace di uccidere anche una persona sana». Il ragazzo muore poco dopo e già in giornata è il personale del 118, intervenuto più volte durante la nottata precedente, a denunciare il caso di morte sospetta. Il ragazzo, in precedenza, era stato in cura all’ospedale Meyer a Firenze ma il peggioramento delle sue condizioni di salute, giunte a un punto nel quale le cure sarebbero state tutte inutili, ha portato con sé anche la decisione di tornare nella sua casa, a Battipaglia. Tre i desideri espressi dal 28enne: trascorrere i suoi ultimi giorni con la famiglia, mangiare una pizza con gli amici e poter ricorrere alle cure palliative per alleviare la sofferenza. Motivo, quest’ultimo, per il quale i familiari si erano rivolti a “Il giardino dei girasoli” di Eboli, che fornisce anche prestazioni domiciliari, che lo ha seguito fino alla data del decesso, avvenuto il 18 gennaio di quest’anno. «Non si parli di eutanasia: la famiglia voleva solo una terapia di sedazione», ha sostenuto il procuratore della Repubblica facente funzioni Alberto Cannavale. Ed i riscontri sono tutti nelle intercettazioni telefoniche. Marra la mattina del 18 gennaio cerca di convincere, senza successo, un collega a somministrare un sedativo profondo al ragazzo. Incassato il no («se devo addormentare non me lo chiedere, per qualsiasi altro farmaco sono a disposizione»), è lo stesso Marra che si reca a casa del giovane. Poco dopo, dalle conversazioni telefoniche, si capisce cosa è accaduto. In una telefonata, un collega dice a Marra: «Che Dio te ne renda merito. Non sono come fai, io non ci riesco». Nelle successive si parla anche dell’inchiesta avviata dai carabinieri. Elementi che portano ad approfondire il caso anche attraverso l’autopsia della salma. Dagli esami è emersa la somministrazione del farmaco e le conseguenze che questa ha avuto sul ragazzo: «Concentrazioni tali – scrivono i consulenti – da poter determinare il decesso di un individuo non affetto da malattia terminale oncologica».