Questa sera e domani la Casa del Contemporaneo presenta Rosario Sparno e Antonella Romano in un cunto tratto dal romanzo di Andrea Camilleri
Di OLGA CHIEFFI
La donna pesce, un cunto di mare e ferro, prodotto da Casa del Contemporaneo, andrà in scena stasera alle ore 20,30, e domani alle ore 19, al Teatro Ghirelli, una storia dolcemente perturbante di terra e di mari, di ulivi millenari e antiche sirene, di fichi d’india e muratori, che ci immergerà nel gioco di emozioni ed evocazioni sprigionato da una lingua fortemente identitaria – densa di echi omerici e pirandelliani, – nella riduzione di Rosario Sparno e Antonella Romano: due narrat(t)ori intenti a lavorare, in scena, una enorme scultura di coda di sirena in rete di ferro, “ricamata” in piccolo dalle agili mani di Antonella, e lucidata con l’acqua marina da Rosario. Questo «cunto» è una storia naturale e morale delle Sirene. La vicenda si svolge a Vigàta, tra Ottocento e Novecento. In contrada Ninfa, che è una lingua di terra sul mare: un’isola immaginaria, odissiaca, che figura ancora sulle rotte dei mitici navigatori; ed è visitata dai sogni incompiuti dalle metamorfosi di pescatori, naiadi, e creature marine. Le Sirene sono donne feconde, terribilmente seducenti, vivono tra gli uomini, abitano gli stessi luoghi, ma non vivono nello stesso tempo. Vengono da una profondità di millenni: sono troppo vecchie o troppo giovani, al di sopra della vita e della morte. Hanno uno sguardo lungo sul passato e un’immota fissità di ricordi. Non hanno dimenticato l’offesa di Ulisse: sono le vestali e le vittime del loro segreto. Il rancore e il desiderio di vendetta risvegliano in esse l’animalità selvaggia. Cercano però un’uscita dalla ferinità, per entrare nel tempo degli uomini. Maruzza e la sua bisnonna parlano in greco tra di loro, ed è sui versi dell’Odissea che le due Sirene verificano eventi ed emozioni. Il loro canto è sensuoso, ma sa essere pure un complotto d’acque, un irresistibile richiamo di onde e scogli. Maruzza e la bisnonna si disfanno dei fantasmi finalmente sconfitti di Ulisse e della sua genìa, individuando nel bracciante e muratore Gnazio Manisco, che dall’America è tornato nella sua Itaca vigatese, odiando il mare e viaggiando sempre sotto coperta, un anti-Ulisse. Maruzza si sposa con Gnazio. Felicemente, comincia la vita nuova di una Sirena con marito e figli. La famiglia della Sirena convoglia cielo e mare. Il primogenito Cola diventa astronomo, scopre una stella e la chiama Resina, con il nome di sua sorella, la Sirenetta. Nel 1940, Cola rientra dall’America nell’Italia in guerra. La sua nave viene affondata. La Sirenetta corre dal fratello e con lui si inabissa per sempre, là dove si apre una grotta dentro una campana d’aria. In quella grotta la letteratura aveva già portato l’avvocato Motta di un romanzo di Soldati. In quella «dimora» aveva realizzato il suo «sogno di sonno» l’ellenista Rosario La Ciura del racconto La sirena di Lampedusa. La guerra ha i suoi naufraghi. Un giovane soldato americano finisce sull’isola immaginaria di Vigàta. È steso sotto un ulivo saraceno. Prima di morire accosta all’orecchio la grande conchiglia indiana delle Sirene. Muore consolato dal canto della bisnonna e della Sirenetta. Le Sirene non uccidono più, amano e soccorrono, come nel racconto di Lampedusa, come nella Sirenetta di Andersen.