di Rino Mele
Il mondo è una debole scacchiera, ci muoviamo su di essa impercettibilmente, senza sosta: utilizzando infiniti punti di riferimento per evitare di sperderci. Inutilmente: come se andassimo su una spiaggia e ci sedessimo con le spalle al mare per guardare l’orizzonte. Il mare è come il deserto che è il più feroce dei labirinti, e la radice di essi: il labirinto, quello di Creta, del Minotauro e di Arianna, che sogniamo negli incubi e ci fa prigionieri nei suoi stretti corridoi che s’intersecano senza uscite, era senza soffitto. Chi lo abitava era disperato e vedeva il cielo.
La scacchiera su cui viviamo può essere contenuta nel palmo della mano, ma comprende la via delle stelle, non ci sono i 64 riquadri che conosciamo nel difficile gioco degli scacchi, ma le stanze infinite dell’esistenza.
Nei suoi riquadri ci sono le cose, i fantasmi, le ombre che ci inseguono.
Le cose sono tutto: e quelle che appartengono alla comunità non possono essere rimosse per la decisione di un funzionario, di un burocrate, di un gruppo di attenti o svogliati assessori, senza averci pensato mille volte: perché l’assenza di un monumento disorienta, inganna, sottrae al piede la strada consueta.
Sto parlando dell’utile progetto dell’architetto Carpentieri, approvato dalla Giunta di Salerno con l’atto n. 501 del 19 dicembre 2019, un parcheggio interrato, che occuperà la strettoia dolce del Larghetto di San Pietro in camerellis su cui attualmente sono due opere significative, una di Ugo Marano, un capolavoro, il lungo sedile in ceramica come la coda di un drago, che chiude quel piccolo spazio pubblico, ma non lo delimita, lo slarga all’infinito e invita i cittadini a occupare in quelle sinuose spire, e parlare e riconoscersi.
Il lungo sedile di ceramica è attraversato da scritte che sembrano segnate col gesso. (C’era un’altra opera in quel poco spazio, la “Fontana felice” sempre di Marano, ma è stata distrutta e la si può solo – con la più attenta e rigorosa scienza del restauro – ricostruire e farla tornare viva) .
Poi, la seconda opera. Nello stesso riquadro, della scacchiera, che ospita il meraviglioso sedile e le sue spire, c’è la statua della Liberta’ di Gaetano Chiaromonte, di centodieci anni fa: e questa non può staccarsi di un millimetro dal luogo dove si trova, perché ricorda il sacrificio dei rivoluzionari della nostra terra, contadini, preti, studenti, madri divorate da una luminosa idea, donne che sapevano leggere sui volti degli oppressi più che sui libri, e artigiani, operai, pronti a farsi uccidere per il riscatto impossibile. In quel luogo alcuni di loro furono portati una volta catturati. Proprio in quel luogo si dice fosse stata eretta la forca.
Un’opera bella, di un simbolismo pieno, maternale e superbo, è questo “Monumento ai martiri politici salernitani”: non può andar via, e se andasse via non si sa quando ritorna, e se potrà ritornare proprio dov’è ora, o debba essere spostata di cinquanta metri, cinquecento.
“È stato previsto il restauro della statua” ha detto ieri, su “Cronache”, con grande garbo, l’architetto Carpentieri. Ma la statua, come il lungo sedile di ceramica, non vanno mossi: si può scavare sotto di essi, con i più complessi accorgimenti (la tecnica di questi non facili lavori ha raggiunto possibilità estreme) evitando di rischiare che malauguratamente non tornino esattamente nel luogo dove Chiaromonte e Marano hanno fissato la loro vita.
I martiri del Cilento, degli Alburni, di tutta la nostra provincia, uccisi, impiccati, che sognarono l’alba dell’Italia e morirono nella notte della repressione che subito seguì. A loro, nel 1912, fu dedicato questo monumento, questo documento, in un luogo non scelto a caso, ma perché ricordava il dolore di quelle morti.
C’è della retorica in quella meravigliosa donna di pietra che spezza le catene: ma le catene continuano a esserci, ne sentiamo il peso ostile ed è sempre più difficile spezzarle.
La coda del drago e, qualche metro più in là, il monumento ai martiri. queste due opere sociali (anche il monumento a Giovanni Amendola, davanti al vecchio palazzo di Giustizia, è di Chiaromonte)
configurano Salerno, ci ricordano che possiamo ancora parlare tra noi (sul sedile-drago) e (davanti al monumento ai martiri politici) con la storia.
(Gaetano Chiaromonte, “Monumento ai martiri politici” conosciuta come “Statua della Libertà”, 1911-1912. Elaborazione dell’immagine di MariaSole Ciacci)