La Filarmonica Salernitana diretta da Carmine Pinto e l’intenso florilegio di scritti del nostro poeta scelto da Toni Servillo hanno impreziosito la giornata celebrativa del quarantennale della scomparsa di una delle voci più significative del secolo breve
Di OLGA CHIEFFI
Teatro Verdi straripante in ogni ordine di palchi, con una forte partecipazione delle scuole salernitane, per il matinée celebrativo del quarantennale della scomparsa di Alfonso Gatto. Sul palcoscenico, l’Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi” diretta da Carmine Pinto ha intonato il Canto degli Italiani, nel giusto tempo, come non si sente da diverso tempo, nel notturno di radio1, ad esempio, in cui l’insipida interpretazione di Allevi ha ceduto il passo a quella veloce e “squadrata” dei Berliner Philarmoniker diretti da Claudio Abbado. Merito, dunque, alla nostra formazione di aver aperto l’intervento musicale con l’Inno d’Italia eseguito con solennità e sobrietà, prima di attaccare la sinfonia della Norma, in cui il maestro ha perfettamente reso i teneri abbandoni e astringenti accenti d’energia di cui la pagina è intrisa. Nel Morgenstemming dalla Suite n°1 op.46 del Peer Gynt di Edvard Grieg l’han fatta da padroni i legni, nel tema pastorale con Antonio Senatore e Antonio Rufo, le prime parti dei flauti e degli oboi ad elevarsi sull’orchestra, con i loro preziosi ricami, fino all’entrata degli archi, con i loro sforzando molto espressivi. Siamo abituati troppo bene con Daniel Oren che ha nella sua bacchetta due cavalli di battaglia prepotenti, che sono stati eseguiti anche ieri mattina, l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana e la Sinfonia del Nabucco. Nelle sue interpretazioni il nostro direttore risplende per quel suo fuoco continuo, per quella fiamma interpretativa attraverso cui la sua bacchetta è costantemente tesa alla ricerca del momento vero della musica. Egli possiede il dono di vitalizzare anche quegli attimi d’ombra che ci sono nella partitura o che sono ritenuti tali, cosa che non è avvenuta con Carmine Pinto, pur nella corretta rilettura di queste due gemme della letteratura musicale italiana. Merito, però, ai giovanissimi ottoni, forse al loro debutto in orchestra, i tromboni Cosimo Panico, Antonio Vece, Vincenzo Serio, i quali hanno ben figurato nell’ abbrivio della sinfonia del Nabucco, senza far assolutamente rimpiangere il suono dei titolari, guidati da Nicola Ferro. Applausi e appuntamento con la Filarmonica il 10 aprile con La Forza del Destino. La ribalta e la massima attenzione del pubblico è stata monopolizzata quindi dall’attesissimo Toni Servillo. L’attore ha ricordato il suo legame con la città e con Alfonso Gatto, dal quale è stato fulminato nella visione del Vangelo pasoliniano. Poi, le letture e le indicazioni, l’incoraggiamento al confronto con le avanguardie del novecento, da parte di un eletto manipolo di docenti che ha guidato i suoi studi universitari, quali Rino Mele, Achille Mango, Gioacchino Lanza Tomasi, Angelo Trimarco, Silvana Sinisi. Il florilegio proposto da Toni Servillo ha tentato, con una veloce cavalcata, di esplorare i diversi temi dell’opera gattiana, l’infanzia, la gioventù, il vivere, la politica, privilegiando maggiormente le prose, tratte da “La pecora nera” e “Il diario di un poeta”. Servillo ha iniziato con “Ho scritto la mia prima poesia a vent’anni in una stanza diroccata. Di là dalla finestra c’era il mare, pioveva dolcemente. Avevo visto per vent’anni le montagne chiudere il golfo e contro il cielo una casetta odorare del suo intonaco rosa che la pioggia risvegliava. […] Questa fu la poesia che mi si rivelò in quella stanza diroccata ov’io ero seduto […]”, la confessione di Alfonso Gatto, sulle pagine del Politecnico nel settembre del 1947, che accompagnò con la pubblicazione di dieci poesie. Un percorso in cui Servillo si è soffermato nelle letture in cui si sono intraviste le linee estetiche dello scrivere di Gatto, in cui il potere della poesia e della scrittura si accampa come alternativo rispetto al ciclico confronto maschera-volto, che la vita, pirandellianamente propone. La vocazione del poeta nasce dalla volontà di opporre una tenace resistenza all’effimero valore che le parole assumono quando vengono pronunciate rapidamente, distrattamente. La poesia si pone presto all’attenzione del giovane Gatto come una sublime, straordinaria occasione di fermare, anche se non di fissare, l’assoluto, garantendo la continuità della vita contro lo spettro della morte, che il quotidiano “cimitero di parole vane” suggerisce. C’è, dunque, uno stento, nella umana avventura, a comunicare la parte più segreta e durevole del proprio essere e, insieme, la tendenza a contrabbandare per vero, ciò che è, invece, solo ambigua apparenza. A risolvere questo difficile dissidio interviene la forza fisica della poesia, la quale tesaurizza dentro i propri meandri il bene migliore dell’uomo. Ed è a questa precisa altezza che avanza, strettamente congiunto a quello della poesia, il tema del potere, del rapporto antagonistico che si instaura tra la nudità dell’anima e la trappola di un politico, che imbriglia ogni autentica tensione liberatoria, riproponendo, in una forma ancora più macroscopica, la devianza delle parole, “usate come commercio al mercato degli inganni”. La poesia si segnala subito come insostituibile occasione di rivalsa alle molteplici finzioni del reale. Essa affida tutta la propria forza alla verità delle parole, alla loro capacità di comunicare un’immagine autentica, si direbbe quasi primigenia, dell’essere. La poesia supera, allora, abbondantemente le frontiere imposte da qualsiasi contratto sociale, politico, religioso, rivendicando un rapporto problematico e progressivo “con la maggior difficoltà di sé, con la maggiore verità di se stesso e con tutta la ragione sufficiente che egli cerca”. Poi, l’omaggio ai piccoli presenti con Melampo, quindi “Il Sigaro di fuoco” e “Il vaporetto”, qualche indicazione ai giovani scolari sul “come si comincia?” un tema, come si vince il timor panico della pagina bianca, il suo consiglio di azzardare, di tentare l’impossibile, e le poesie, “Donne sulla spiaggia”, “La Costiera d’Amalfi”, “A uno straniero”, “All’alba”. Abbraccio caloroso del pubblico e richiesta di bis “Qualcosa su Salerno!” – giunge dalla prima fila e Servillo “No, poesie su Salerno non ne ho portate, Gatto parla a tutti. È di tutti. Solo per caso è nato qui, a Salerno”. Un crescendo i bis con “Il vizio dei poveri”, la sigaretta, il destino delle pecore bianche e di quelle nere e la famosa partita di calcio con le disavventure del portiere Boccaccio, declassato a guardia-porte. Standing ovation e bagno di folla per Toni Servillo.