Stasera al Teatro municipale Giuseppe Verdi di Salerno andrà in scena “L’opera da tre soldi” di Bertold Brecht, con le musiche di Kurt Weill. L’allestimento è nato da un’idea di Elena Scardino e Franco Alfano, al quale abbiamo chiesto di illustrarci i dettagli del progetto.
Questo allestimento dell’“Opera da tre soldi” è il punto d’arrivo del laboratorio “Il teatro degli attori”, organizzato dall’associazione Mumble Rumble. Con quali finalità?
Si tratta di un progetto realizzato dall’Arci Mumble Rumble Teatro Comico Salernitano, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Salerno, con l’obiettivo di coinvolgere attori già noti ed esordienti in un’esperienza comune, in modo da valorizzare le potenzialità artistiche della comunità cittadina e favorire la scoperta di nuovi talenti. Da questo punto di vista, anche la rassegna presentata la scorsa estate al teatro Ghirelli, che ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica, ha dato buoni frutti,in quanto ha permesso di selezionare alcuni giovani promettenti. La proposizione dell’“Opera da tre soldi” costituisce una fase ulteriore del cammino intrapreso, che si rende necessaria, visti i risultati precedenti e tenendo presente che l’utilizzo del Massimo cittadino per iniziative di questo genere risale ormai a una ventina d’anni fa.
Quali motivazioni hanno determinato la scelta di Brecht?
Indubbiamente le tematiche trattate da Brecht, e in particolare quelle dell’opera che ci accingiamo a rappresentare, risultano ancora attuali. L’impressionante analogia tra criminalità e mondo della finanza è sotto gli occhi di tutti, così come la diffusa ipocrisia che pervade la società contemporanea. Si potrebbe dire che i mali denunciati dal Nostro autore, non solo sussistono, ma si sono addirittura accentuati.
Rappresentare Brecht comporta l’adesione al concetto di “teatro epico”, basato sull’effetto di straniamento, che permette allo spettatore di non immedesimarsi nei personaggi e di evitare di sentirsi coinvolto nella vicenda, in modo da favorirne l’atteggiamento critico nei confronti dei temi trattati. La scelta di innovare l’apparato didattico predisposto dal drammaturgo tedesco (i famosi cartelli che commentavano l’azione) è dettata dal semplice intento di introdurre delle novità o è finalizzata a potenziarne l’efficacia?
Abbiamo deciso di veicolare il messaggio brechtiano servendoci di alcuni linguaggi propri dei media contemporanei, come il fumetto (i disegni di Bruno Brindisi) e la grafica (le “visioni di sabbia” di Licio Esposito), così come i riferimenti al cinema di Tarantino, allo scopo di rendere quest’opera più attraente e interessante. Sotto questo aspetto, riteniamo di aver rispettato, se non la lettera del testo, le reali intenzioni dell’autore. Naturalmente abbiamo operato anche dei tagli per rendere la rappresentazione più recepibile. D’altronde al giorno d’oggi si ricorre spesso a questo accorgimento, anche quando si rappresenta Shakespeare.
Al di là delle analogie tematiche e stilistiche fra il Cinema di Tarantino e il teatro brechtiano e dell’esigenza di proporre un classico del teatro novecentesco con un taglio contemporaneo, ritiene che tale scelta sia anche funzionale all’effetto di straniamento?
Certamente. Nel cinema di Tarantino, per certi versi simile al teatro brechtiano nell’ambientazione e nei repentini cambi di registro, da quello drammatico a quello comico, si respira un’atmosfera indefinita, almeno dal punto di vista temporale. Anche il modo in cui agiscono i personaggi sembra a volte poco aderente alla realtà. In definitiva, l’accostamento con Tarantino completa efficacemente l’insieme degli accorgimenti che intendiamo porre in atto per avvicinare i giovani al teatro e al mondo della cultura, in quanto corrisponde ai loro canoni estetici abituali.
Aristide Fiore