Calorosi applausi hanno salutato l’approdo di “Penso che un sogno così…” al massimo cittadino. In questo spettacolo, scritto da Beppe Fiorello e Vittorio Moroni, e diretto da Giampiero Solari, si ribalta il punto di vista della fiction “Volare”, uno dei successi televisivi dell’attore catanese: la carriera di Domenico Modugno (Mimì) viene ripercorsa stabilendo un parallelo tra la storia del cantautore salentino e quella di un operaio ferroviario catanese, «un ragazzo con due baffi da moschettiere e gli occhi pieni di speranza», a lui straordinariamente somigliante e come lui dotato di talento canoro: il padre di Beppe, che rievoca entrambe le vicende attraverso i suoi ricordi d’infanzia. I vari episodi di vita familiare, alternati con le contemporanee vicissitudini di Modugno, sono scanditi da alcune delle sue canzoni più famose, interpretate da Fiorello con uno stile “più vero del vero”, molto al di là di una semplice imitazione, e quasi tutte accompagnate dal vivo da Daniele Bonaviri, Fabrizio Palma e dall’attore stesso, nell’insolita veste di percussionista. Si parte con le canzoni dialettali, quelle degli esordi, che rivelarono la novità di un repertorio che, attraverso figure di animali e lavoratori, si faceva interprete della realtà preindustriale, destinata, nei decenni successivi, a essere a poco a poco trasformata dal decollo dell’economia. Alcune di esse sembravano fatte apposta per descrivere le situazioni vissute dalla famiglia Fiorello: dai lunghi viaggi in auto, che in realtà coprivano poche decine di chilometri, alle riunioni famigliari, accompagnate da interminabili mangiate condite coi racconti dei commensali, alle feste patronali, monopolizzate da un notabile che aveva fatto fortuna in America, ai personaggi curiosi, sul conto dei quali circolavano strane dicerie. E fu proprio grazie a uno di loro, un presunto lupo mannaro soprannominato “’o lupinaro”, in realtà un innocuo signore basso e grassoccio, timoroso della propria moglie, che il piccolo Beppe entrò in contatto con le canzoni di Modugno. In cambio di un po’ d’aiuto, fornito con riluttanza dal bambino intimorito, l’ometto gli regalò la prima cosa che gli capitò sotto mano: un logoro disco a quarantacinque giri con “Nel blu dipinto di blu”, la canzone giusta al momento giusto, per un popolo che si accingeva a spiegare le ali e lanciarsi verso il boom economico. Dai ripetuti ascolti, attraverso i dischi, la radio, la televisione e le interpretazioni di quel padre così somigliante al grande Mimmo, nacque il sogno che ha portato un bimbo incompreso, preso in giro da tutti per la sua riservatezza, a impersonare il cantautore prima in televisione e poi in teatro, fino a raggiungere un “effetto presenza” che ha davvero emozionato il pubblico, come dimostrato dai frequenti applausi “a scena aperta”.
Aristide Fiore