L' arte del trio da Beethoven a Nino Rota - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

L’ arte del trio da Beethoven a Nino Rota

L’ arte del trio da Beethoven a Nino Rota

 

Gran finale questa sera e domenica 7 per il Festival di Musica da camera Sant’Apollonia, promosso dal Conservatorio Statale “G.Martucci” con formazioni di fiati e archi e l’ Opera da tre soldi di Brecht-Weill con la partecipazione di Yari Gugliucci

Sabato 6 giugno, alle ore 19, penultimo appuntamento con il Festival di Musica da Camera Sant’Apollonia, giunto alla sua seconda edizione. Un evento, questo, nato dalla sinergia del conservatorio di Musica “G.Martucci” di Salerno, con un progetto del Dipartimento di Musica d’Insieme, presieduto da Francesca Taviani, da un’idea di Anna Bellagamba e la Bottega San Lazzaro del professore Giuseppe Natella che ospita la rassegna nella cornice della Chiesa di Santa Apollonia. In scena l’arte del trio di fiati e di archi per una serata a tema che principierà con il Trio di Nino Rota op.119, affidato al pianoforte di Wouter Deltour, al violino di Sara Rispoli e al flauto di Simone Mingo. Al 1958 risale la creazione cameristica forse più felicemente personale ed avanzata di Rota, si tratta di questo trio op.119, integralmente sorretto da una scrittura pianistica nervosa e brillante, mentre flauto e violino sono impegnati in soluzioni ritmico-melodiche di singolare spigolosità , quali le note strappate del violino all’inizio del primo tempo, predominanti nei due movimenti estremi, a cominciare dall’irresistibile Allegro ma non troppo, melodicamente teso tra l’iridescente ed irruente animazione del tema principale, d’impronta toccatistica e l’assorta pensosità della seconda idea. Ad un Andante sostenuto centrale speziato da più forti contrasti espressivi e chiaroscurali, subentra un Allegro vivace con spirito pervaso da un allucinato dinamismo, non estraneo a certe invenzioni di Prokof’ev o di Stravinskij. La pianista Rita Ferrara, la flautista Valeria Iannone e il giovane fagottista Gaetano Varriale si cimenteranno, invece con il Trio WoO 37 in Sol Maggiore composto da Ludwig van Beethoven tra il 1786 e il 1790, per la famiglia del conte Friedrich Ludolf Anton von Westerholt- Gysenberg. Il conte suonava il fagotto e la figlia Maria Anna Guglielmina, era allieva di pianoforte del compositore, follemente innamorato di lei. Articolato in tre movimenti il Trio è fortemente influenzato da Mozart. Si apre con un Allegro in 4/4 in cui il primo tema, che inizia con un arpeggio all’unisono eseguito da tutti e tre gli strumenti, viene enunciato una sola volta e subito lascia il posto alla transizione, costituita da una raffica di passaggi e scale del flauto e del fagotto. Il secondo tema appare dapprima al pianoforte per poi essere raddoppiato dagli strumenti a fiato. L’Adagio, in sol minore, è caratterizzato da una delicatezza e da una cura del dettaglio sorprendenti nei lavori del primo periodo di Beethoven. Un Tema Andante con Variazioni in 2/4 chiude l’opera. Finale con il trio op.49 in Re Minore di Felix Mendelsshon affidato alla pianista Azzurra Romano, alla violinista Donatella Gibboni e al violoncellista Thomas Brian Rizzo. La composizione riflette quel profondo equilibrio interiore, che è una costante della personalità del musicista di Amburgo, e le tre voci strumentali sono fuse in modo omogeneo, con il pianoforte che svolge una funzione di coordinamento nell’ambito di un classicismo formale con l’esposizione, lo sviluppo e la ripresa del materiale tematico. Il primo movimento (Molto allegro e agitato) si apre con una frase di tono cordiale e sereno affidata al violoncello e poi richiamata dal violino e dal pianoforte. L’Andante ha una linea essenzialmente lirica e risente nella sua assorta pensosità dell’influenza beethoveniana, anche se la caratteristica liederistica e cantabile appartiene tutta intera a Mendelssohn. Ma dove il temperamento vivace ed estroso del musicista si rivela nella sua ampiezza e originalità è nello Scherzo del terzo tempo, che racchiude quel senso del fantastico tipico del Romanticismo. L’Allegro assai appassionato finale è il più complesso e passa dal rigore della forma-sonata, con il primo, il secondo tema e lo sviluppo, ad una melodia calda ed espressiva enunciata dal violoncello, per sfociare poi in un vero e proprio rondò, con richiami al tema originario, variato secondo un gusto vagamente popolaresco.

Gran finale il 7 giugno con l’opera-cabaret di Kurt Weill, del quale verranno eseguite quattro canzoni su testo di Brecht, prima di passare alla Suite per orchestra jazz n°1 di Dmitri Shostakovich , nata nel 1934 con il preciso scopo di portare il jazz sovietico da musica di piccolo consumo al rango di prestigio «professionale». Santa Apollonia si trasformerà quindi in teatro per un adattamento della Die Dreigroshenoper firmata dal binomio Weill-Brecht, con la partecipazione straordinaria di Yari Gugliucci, voce narrante di quel pasticcio di eventi dove magnaccia e puttane si litigano un ideale malloppo con voci da galera, tra evocazioni di gregoriano, canzonacce da casino, guizzi del tango e filastrocche della vecchia e nuova goliardia.