Terzo appuntamento per la XII edizione del Festival Piano Solo, stasera, alle ore 19, a Palazzo di Città che ospiterà la pianista veneziana
Di OLGA CHIEFFI
Serata monografica stasera, ore 19, nel Salone dei Marmi di Palazzo di Città per la XII edizione del Festival Internazionale Piano Solo, firmato da Paolo Francese e Sara Cianciullo, sostenuto dall’amministrazione comunale, nella persona di Ermanno Guerra. Un omaggio a Ludwig Van Beethoven, che saluterà ospite Maria Letizia Michielon, che sta incidendo l’integrale delle 32 sonate del genio tedesco. La sua colta scelta si è fermata sulla sonata n° 15, op. 28, detta “Pastorale”, e sulla prima e la terza dell’opera 31, segnate da una prodigiosa plasticità di rappresentazione palpabile, però, nella microforma, battuta per battuta, nota per nota, dove tutto dovrà assumere vivacità di significato. La Sonata op.28 del 1801 è nota con il soprannome di “Pastorale”, apocrifo ma attribuitole già in una edizione del 1805. Beethoven qui fa uso di alcuni stilemi impiegati per evocare una musica pastorale, codificati da una lunga tradizione che affonda le proprie radici in Corelli, Scarlatti, Händel, qui in particolare quelli riecheggianti il suono delle cornamuse, con un cosiddetto “pedale armonico” Il contenuto espressivo è d’ispirazione lirica e intimistica. Già l’“Allegro” iniziale mira a stemperare la dialettica, sia con la lunga frase iniziale che con il soffice pedale armonico ribattuto. Il discorso procede senza contrasti e i vari elementi tematici scorrono uno dopo l’altro. L’“Andante” che segue è una pagina di grande densità meditativa. Beethoven scrive una melodia di accordi legati sorretti da una linea di basso staccato. Si tratta di una scrittura che crea un alone particolare. In posizione centrale del movimento si trova un episodio dal tono sereno in maggiore che conduce alla ripresa variata del tema. In terza posizione è collocato l’ormai consueto “Scherzo” dal carattere brillante inframmezzato da un Trio campestre. Il “Rondò” conclusivo è il movimento più caratterizzato dal punto di vista “pastorale”: un refrain segnato da un bordone, un accompagnamento che insiste su una nota grave, tipico di cornamusa. Una coda fulminante, dove si distingue nettamente il bordone, chiude la sonata. Si passerà, quindi alla prima sonata dell’op.31, in Sol Maggiore, un vero e proprio florilegio di stranezze, a cominciare dai rapporti di tonalità. La pagina prende l’avvio con un tono quasi rapsodico, colloquiale che la serena tonalità di sol maggiore contribuisce ad esaltare. Annovera anacoluti, indugi e singolari digressioni che ne accrescono il fascino. La particolarità di un secondo tema nella inconsueta tonalità di si maggiore è stata più volte rimarcata, come pure il gioco degli spostamenti d’accento che ne aumentano la verve. Più d’uno ha insistito sul carattere «capriccioso ed evasivo» di questa particolare Sonata (il sol maggiore vien fatto notare in Beethoven è spesso la tonalità della distensione se non addirittura del disimpegno). E allora, dopo le facezie del primo tempo, ecco il locus amoenus di un Adagio grazioso, sorta di effusiva cavatina dai neoclassici profili, irrorata di belcantistiche efflorescenze: vi è chi vi intravede una reminiscenza di Haydn, l’aria della creazione dell’uomo «Mit Würd und hoheit Angetan» dall’oratorio Die Schöpfung (La Creazione) e chi, con motivazioni non meno valide, rileva un anticipodi alcuni Péchés de vieillesse di Rossini, con quell’allusivo pizzicato di archi reso dalla sinistra. Vi fa seguito, infine, un Rondò di schubertiana scorrevolezza: luminoso come certo Boccherini del quale richiama, vagamente, il celebre Minuetto. Chiuderà la serata la terza Sonata dell’op. 31, composta nel 1802. Il travaglio esistenziale del periodo non compromette il carattere disteso dei temi, ma ne frantuma la linearità in brevi cellule. Mancano del tutto lenti o adagi meditativi, sostituiti da una innovativa successione di scherzo e minuetto insieme. Nonostante nessun titolo sia stato assegnato da Beethoven, la Sonata è chiamata impropriamente “La chasse” per via del suo ultimo movimento in rapida rincorsa e di un certo clima pastorale che la attraversa. Il gesto musicale d’esordio richiama l’elemento tematico del Lied Der Wachtelschlag, ossia il canto della quaglia, ma l’allusione onomatopeica al verso dell’’animale è solo uno spunto per una costruzione puramente musicale: dà avvio tanto al primo quanto all’ultimo movimento. Così, nell’Allegro iniziale in forma sonata, quella che potrebbe sembrare un’introduzione fa, in realtà, già parte del primo tema: l’esordio interrogativo richiama l’attenzione dell’ascoltatore e lascia sospesa e incerta la tonalità. Il secondo tema si distende invece con una certa franchezza di spirito, con uno stile leggero e galante, quasi settecentesco, su un basso albertino che vivacizza il ritmo. Nei movimenti successivi, se lo Scherzo è un Allegretto vivace, insolitamente in tempo binario e senza trio, dal carattere spigliato come di una marcetta, il Minuetto del terzo movimento – l’ultimo che Beethoven comporrà nelle sue 32 Sonate – rappresenta un intermezzo lirico, un canto Moderato e grazioso, sul cui tema Saint-Saëns scriverà nel 1874 le sue variazioni per due pianoforti. Il Presto con fuoco finale è invece un momento di riconciliazione e palpitazione insieme, un movimento di pura euforia pianistica, in cui sembra che un’intera orchestra venga disposta sotto le dita dell’esecutore.