In morte di Pietro Amos - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

In morte di Pietro Amos

In morte di Pietro Amos

Michelangelo Russo

 

Pietro Amos è stato uno dei protagonisti di un grande sogno che va a merito della sua generazione. Il sogno della poesia di quel piccolo territorio che, includendo il centro storico di Salerno, si allungava fino alle stradine del centro storico di Vietri, salendo su fino a Raito. Poesia ancora in parte intatta fino agli anni ’70, quando Amos, con i suoi amici e i pochi visionari cercatori delle immagini della bellezza primitiva del paesaggio e dei manufatti ceramici sopravvissuti nelle case e sui muri di questa Lilliput dell’Elegia, diede vita al Museo della Ceramica di Villa Guariglia. E’ del 1977 un piccolo volumetto, “In un Paese del Golfo Lunato”, che narra la scoperta di un mondo dimenticato, già a quel tempo, di artisti sommi che portarono nel Sud, dalle latitudini fredde e feroci dell’Europa stordita dalla furia crescente del Nazismo, la speranza della poesia data dalle cose e dalle persone semplici. Un mondo di armonia senza tempo, contrapposto alla modernità presunta di una visione futuristica fondata sull’arroganza dei privilegiati e sull’ordine imposto dai despoti. Quel gruppo degli amici di Amos ebbe la forza e il coraggio di lasciare un segno poco apprezzato all’inizio, ma diventato, col passare degli anni, monito e memoria per le nuove generazioni. Il Museo di Raito è nato con difficoltà, ma vive da anni un oblio triste e immeritato. La classe politica delle nostre terre non ha purtroppo la lungimiranza e la cultura, e la sensibilità, per capire e apprezzare la grande eredità rappresentata dal PATRIMONIO dell’UMANITA’ che è stato il cosiddetto “Periodo Tedesco” della Ceramica Vietrese. Venti anni, tra le due guerre, in cui giunsero dalla Germania, e non solo, artisti sommi attirati nel triangolo di una terra felice dalla voglia di libertà e di speranza. Max Melamerson, il fondatore della ICS, la fabbrica di eccellenza amata da Giò Ponti, veniva dall’esperienza teatrale di avanguardia dei cabaret espressionisti di Berlino. Sua moglie, Flora Maag, era imparentata con Thomas Mann. Arrivarono da tutta Europa, richiamati dalla fama veloce della ceramica vietrese, i migliori esponenti di un’arte sperimentale che lanciava sui mercati di tutto il mondo il messaggio in bottiglia di un mondo primitivo contrapposto alla violenza dell’iconografia modernista delle dittature. Pietro Amos, figlio di una artista tedesca di quel gruppo, aveva avuto l’intuizione della straordinarietà di quel tempo. Lo conobbi nel 1983, nel fascinoso e strambo corridoio delle meraviglie che era il laboratorio-rifugio dell’orefice Tafuri, nei Mercanti. Alto, distinto, così nordico nell’aspetto e nei modi, parlava in modo pacato e laconico rilasciando brani di memoria di un tempo misterioso di alchimisti stranieri, artefici di meraviglie multicolori.

Salerno deve molto a lui, e a tutti i critici d’arte che si sono prodigati, negli anni successivi, per tenere viva la memoria di un tesoro d’arte di valenza mondiale. Voglio ricordare Matilde Romito, per molti anni Direttrice dei Musei Provinciali, che con infinite pubblicazioni e con acquisizioni di opere ha tenuto vivo il Museo di Villa Guariglia. Voglio ricordare Massimo Bignardi, che ha riscoperto l’opera di Guido Gambone già molti decenni fa, organizzando mostre indimenticabili. E poi il napoletano Giorgio Napolitano, un medico ammaliato dalla ceramica, ricercatore instancabile. Il vietrese Vito Pinto, ricostruttore di un’aneddotica preziosa sui protagonisti di quel ventennio d’arte, ben diverso da quell’altro ventennio! Ma anche le estemporanee incursioni nella critica dell’arte ceramica di Claudio Caserta, i libri fondamentali di Pino Viscusi e di Eduardo Alamaro, napoletani. Tutto ciò è solo un frammento della riscoperta di un patrimonio artistico unico che è ancora da raccontare. E, soprattutto, da valorizzare! Potenziando il Museo di Raito, raccontando sui muri lugubri di cemento delle opere pubbliche la fiaba dell’Isola Felice del paesaggio degli artisti vietresi (che è un paesaggio, sempre, senza inverni!), imitando quello che il Comune di Vietri, grazie al Sindaco e all’Assessore Daniele Benincasa, sta già facendo , costruendo sui muri e sulle panchine un MUSEO A CIELO APERTO; ebbene, la fantasia dovrebbe apparire nella politica di Salerno, per costruire con il richiamo potente dei colori l’immagine di una città scialba e mediocre, che la rozzezza di certi interventi pubblici contribuisce ad avvilire. Ma come, si programmano cento milioni di euro per ricostruire un campo sportivo (di una squadra, ahimè, di serie C), e non ci sono fondi per un progetto di abbellimento della città?