Imanuel Sarno: Dissesto idrogeologico, ecco le zone a rischio della Provincia - Le Cronache Ultimora
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Imanuel Sarno: Dissesto idrogeologico, ecco le zone a rischio della Provincia

Imanuel Sarno: Dissesto idrogeologico, ecco le zone a rischio della Provincia

di Erika Noschese

 

 

Il dissesto idrogeologico, acuito dai cambiamenti climatici e dall’urbanizzazione selvaggia, rappresenta una sfida urgente per l’Italia. La prevenzione, attraverso interventi di mitigazione e una pianificazione territoriale oculata, è cruciale. Il monitoraggio costante e la collaborazione tra istituzioni e comunità sono essenziali per affrontare questa emergenza. Abbiamo intervistato Imanuel Sarno, geologo specializzato in monitoraggio geotecnico e strutturale di infrastrutture, territorio e ambiente.

Quali sono state le tappe più significative della sua carriera?

«Ci sono state tante piccole tappe, tutte significative. Sicuramente le più impattanti sono state il trasferimento all’estero, per la realizzazione di un’opera fondamentale per la Polonia, che la nazione attendeva da anni. Un’altra tappa significativa è stata il completamento degli scavi di una delle tratte più critiche della metropolitana di Roma».

Quali sono le sfide più grandi che ha affrontato nel suo lavoro?

«La realizzazione di grandi opere si porta dietro tante soddisfazioni ma anche tante sfide, che vanno dal peso delle responsabilità alla gestione di ritmi elevati, fino alla risoluzione di situazioni tecniche e operative complesse e delicate».

Quali sono gli aspetti del suo lavoro che trova più gratificanti?

«Lavorare alla realizzazione di infrastrutture è, per me, motivo di grande orgoglio. Lavorare per queste opere, con la consapevolezza che si sta realizzando qualcosa di concreto, per il beneficio della comunità e delle generazioni presenti e future, migliorandone la qualità della vita, è sicuramente l’aspetto più appagante».

Come è nata la sua passione per la geologia e quali sono le sue origini?

«Dopo un trascorso importante nello sport, interrottosi di soppiatto, mi sono guardato dentro per capire cosa volessi. Ho sempre amato l’ambiente e il territorio, incuriosito dai processi che lo hanno generato e lo generano. A questo si aggiungeva mio nonno, importante costruttore di Salerno con tanto di targa “Salernitano doc”, che mi ha sempre affascinato nel suo lavoro. Quando vedevo i suoi fabbricati e le attività in cui era impegnato, rimanevo sempre sorpreso e inorgoglito. La mia indole, da sempre, mi spinge verso la pianificazione e la progettazione, intesa nei suoi molteplici aspetti. Quando dovevo scegliere la facoltà universitaria, ho visto nella Geologia applicata all’ingegneria e nella pianificazione in generale, anche economica e finanziaria, le mie passioni e attitudini».

Qual è la situazione attuale del dissesto idrogeologico in Italia, in particolare nel Sud e in Campania?

«Il fatto è che di base l’Italia è un “Paese” geologicamente giovane. Questo vuol dire che è in piena ricerca di un equilibrio geomorfologico e, quindi, soggetto a processi morfogenetici importanti. Questo equilibrio lo ricerca deformandosi, ed uno degli esempi più significativi sono le frane. È quindi un processo naturale che diventa rischioso quando si associano esposizione e vulnerabilità. Quì subentra il fattore antropico, come la cementificazione e l’inappropriato consumo di suolo. Una corretta pianificazione e progettazione avrebbe aiutato, e aiuta molto, nel ridurre il rischio. Un altro fattore importante è la manutenzione del patrimonio territoriale: quando ero all’estero, mi sorprendeva la costanza con cui intercettavo squadre di uomini e mezzi, lungo la strada che portava al mio lavoro, che manutenevano collettori, canali di deflusso delle acque piovane e persino le erbe infestanti tra i guard rail sui marciapiedi. E il pensiero andava all’Italia. La Campania, come è noto, ha uno dei più alti tassi di consumo del suolo rispetto alle altre regioni: questo aumenta l’esposizione e quindi il rischio. Consultando i documenti dell’autorità di bacino come PSAI-RF o anche il Geoportale si evince una situazione di forte criticità».

Quali sono le principali cause del dissesto idrogeologico nella provincia di Salerno?

«Ci sono diverse cause concomitanti, sia antropiche che naturali. Sicuramente la litologia di rocce e terreni gioca un ruolo fondamentale: è un territorio eterogeneo, che è soggetto a diversi tipi di fenomeni. Un altro fattore è la scarsa regimentazione dei corsi d’acqua, anche quelli minori: torrenti o vie di deflusso dell’acqua “ritombate”, che bloccano il drenaggio dell’acqua creando allagamenti».

Quali sono le aree più a rischio nella città di Salerno e nella sua provincia?

«La zona della Costiera amalfitana è soggetta a numerosi fenomeni come crolli, colate detritiche rapide. Anche le aree più interne come Pellezzano, San Cipriano Picentino, Giffoni sei Casali, San Mango Piemonte, Giffoni Valle Piana, Montecorvino Rovella, Castiglione dei Genovesi sono tutte caratterizzate da diversi fenomeni di dissesto. Infine, c’è il Cilento, interessato da fenomeni importanti e di natura complessa che riguardano anche deformazioni gravitative profonde di versante».

Quali sono le misure di prevenzione e mitigazione che possono essere adottate per ridurre il rischio di frane e alluvioni?

«Le misure di mitigazione riguardano sia interventi strutturali sia non strutturali, e partono dalla mappatura e dal censimento dei fenomeni. Alcuni esempi di interventi strutturali sono le riprofilature dei versanti, terre armate, chiodature, tiranti, realizzazione di argini, casse di espansione ed altri. Questi differiscono a seconda della tipologia di fenomeno su cui intervenire. Interventi non strutturali sono la pianificazione territoriale, la delocalizzazione, sistemi di monitoraggio e piani di emergenza. Qui si entra in un campo che mi interessa e rappresenta molto: le misure di prevenzione possono essere, a mio parere, anche volte a trasformare il rischio in opportunità. Le capacità ingegneristiche di oggi possono permetterci di sfruttare a nostro vantaggio alcuni rischi idrogeologici, se visti sotto un’ottica più ampia. Sarebbe importante un tavolo di confronto per fare progetti su grande scala, con una visione a lungo termine, senza tralasciare interventi puntuali».

Come il cambiamento climatico sta influenzando il dissesto idrogeologico nella regione?

«Uno dei cambiamenti climatici in atto che più impatta sul dissesto idrogeologico è quello legato alle precipitazioni, più precisamente alla loro intensità, intesa come millimetri di pioggia caduti in un intervallo di tempo relativamente breve. Spesso sentiamo che sono caduti, in poche ore, gli stessi millimetri di pioggia che, qualche anno fa, erano il riferimento di mesi di precipitazioni dell’area oggetto dell’evento. Le infrastrutture non sono dimensionate per questi eventi, con tutte le conseguenze del caso. Anche il territorio nella sua componente naturale e ambientale risponde con eventi che si ripercuotono sulla popolazione. La Campania, essendo una regione con un alto tasso di consumo del suolo, è soggetta ad un aumento dei fenomeni di dissesto che, nelle precedenti condizioni climatiche, avevano tempi di ritorno maggiori».

Qual è il ruolo della pianificazione territoriale nella gestione del rischio idrogeologico?

«Gioca un ruolo fondamentale. Permette di risolvere il problema a monte o, meglio, di evitare, nel caso del dissesto idrogeologico, che eventi naturali siano un rischio per la popolazione».

Quali sono le tecnologie e le metodologie più avanzate utilizzate per il monitoraggio e la previsione del dissesto idrogeologico?

«Ad oggi la tecnologia ha fatto passi importanti. I sistemi di monitoraggio si sono evoluti con sensori che permettono precisioni, accuratezze, applicabilità e scalabilità importanti. Parliamo di sistemi puntuali con tecnologie all’avanguardia che monitorano il singolo fenomeno che, connessi tra loro, permettono il monitoraggio di aree più estese. Ad oggi, i sistemi di acquisizione e trasmissione permettono di ottenere dati ad alte frequenze di campionamento, con l’invio automatico di alert. Abbiamo poi il satellitare e il telerilevamento in generale, che hanno campi di applicazione estremamente utili. Un’ulteriore tecnologia innovativa nel campo del monitoraggio, con grandi potenzialità, che sta prendendo sempre più piede, è la fibra ottica: la sua scalabilità e tecnologia specifica ha dato e può dare grandi risultati nel campo del monitoraggio geotecnico e strutturale, con un rapporto costi-benefici estremamente positivo. Infine, le piattaforme di divulgazione e disseminazione dei dati di monitoraggio DDS (Data Dissemination System) sono uno strumento indispensabile e fondamentale nella mitigazione del rischio».

Quali sono le sfide principali nella comunicazione del rischio idrogeologico alla popolazione?

«Lancio una provocazione nel dire che forse la sfida è verso le istituzioni e l’Unione europea. La popolazione è ben conscia del rischio: può e deve essere sensibilizzata e allertata nel tutelarsi. Le istituzioni hanno il dovere di garantire e investire nella sicurezza delle persone, che sono la nazione stessa. Quindi, avere una visione strategica e a lungo termine, creando sinergie che possano, in taluni casi, trasformare il rischio in opportunità. Sono le istituzioni a dover accettare la vera sfida, che si racchiude nel comunicare, prima ancora di affrontarlo, il rischio idrogeologico».

Quali sono le prospettive future per la gestione del dissesto idrogeologico nella regione e in Italia?

«Si è investito e si sta investendo. Il volume degli investimenti, vista la situazione di criticità e di beneficio potenziale, è però ancora troppo basso, forse anche a causa anche di una visione troppo limitata. Ad oggi, ma soprattutto dall’ultimo decennio o più, si tende a gestire l’emergenza anziché fare prevenzione. La prospettiva futura, ahimè, è quella di vedere, come ogni anno, il manifestarsi di eventi che impattano in maniera negativa sulla popolazione. Al netto, quindi, dei singoli interventi, ovviamente fondamentali, non vedo una prospettiva ben definita nella prevenzione del rischio idrogeologico».