Patrizia Tortoriello
Approda in Cina la celebre Tomba del Tuffatore di Paestum e varcando per la prima volta i confini europei, intraprende un viaggio unico. Nel 2019 questo capolavoro dell’arte funeraria della Magna Grecia è stato il protagonista della mostra itinerante Paestum: una città del Mediterraneo antico, che ha attraversato diverse città cinesi, da Shijiazhuang a Chengdu, coinvolgendo migliaia di visitatori. Ha catturato l’attenzione del pubblico cinese grazie a un’installazione monumentale: una ricostruzione della Tomba del Tuffatore in dimensioni maggiori rispetto all’originale. L’evento, ospitato inizialmente dall’Hebei Museum di Shijiazhuang ha poi toccato altre località come Ningxia, Jilin, Panlongcheng e Nanshan. Questa imponente installazione ha offerto al pubblico cinese un’esperienza immersiva e simbolica, invitando i visitatori a riflettere sul mistero e il significato universale del tuffo verso l’ignoto. A supporto dell’evento, il Parco Archeologico di Paestum ha inaugurato un profilo ufficiale su Weibo, il principale social network cinese, per avvicinare il pubblico locale alla cultura di Paestum. L’iniziativa riscuotendo un ampio successo, ha rafforzato i legami culturali tra Italia e Cina e ha promosso la conoscenza della Magna Grecia in Oriente. Il simbolismo del tuffo, che attraversa millenni e confini, ha parlato con forza a un pubblico globale, dimostrando il potere universale del patrimonio culturale. Tutto ha inizio in un’estate calda come quella del 1968, quando Mario Napoli dette la notizia del ritrovamento di una tomba dipinta, che poi doveva ampiamente diventare nota come Tomba del Tuffatore. Subito gli studiosi dovettero intravedere i segreti dell’uomo nella scoperta archeologica che rimbalzò nel mondo, e interpretata dalla copertina di “Le Scienze” a quella della giapponese “Geiyutfu Shincho”, passando dal romeno “Magazine Historique” e recentemente confermata dal noto archeologo tedesco, 82 anni , Tonio Holscher. Prima che Mario Napoli riportasse alla luce i dipinti di Paestum in eccezionali condizioni di conservazione, datandoli intorno al 480 a.C., della pittura greca si avevano esclusivamente notizie letterarie e nessun documento diretto. Le immagini delle quattro lastre laterali della tomba, che ritraggono una scena di convivio narrata con grande qualità artistica, e quella eponima, della lastra di copertura in cui è raffigurato un giovane nel momento in cui si lancia in acqua da un trampolino con un tuffo quasi rotondo, hanno restituito i documenti di un’arte che può reggere il confronto con i grandi capolavori di tutti i tempi. Alla scoperta seguì un acceso dibattito. Ci fu l’ottavo convegno di Studi sulla Magna Grecia a Taranto, con schieramenti fra gli studiosi, fra chi era a favore di un riconoscimento artistico e chi di una valenza artigianale. Non possiamo certo stabilire se la mano che ritrasse quel giovane in tuffo verso l’aldilà pronto a immergersi nelle acque infere appartenesse a un’artista «partecipe del clima intellettuale del suo tempo» (Pontrandolfo) o a un pur bravo artigiano locale; resta il fatto che nel tempo su quell’immagine sono andati a soffermarsi e a ragionare artisti e poeti che hanno saputo cogliere il grande valore allegorico di quell’opera. La Tomba del Tuffatore resta un capolavoro enigmatico. Quel giovane che si tuffa in un’acqua idealizzata non è solo una figura, ma un simbolo universale: l’uomo che si lancia verso l’ignoto, verso il confine delle proprie conoscenze. La piattaforma da cui si slancia il tuffatore potrebbe alludere forse alle pulai, le mitiche colonne poste da Ercole a segnare il confine del mondo, simbolo del limite della conoscenza umana. Nel 1998 in un’arguta mostra al Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea (MMMAC) di Paestum, pittori e disegnatori, come Altan, Crepax, Enzo Cucchi, Pablo Echaurren, Marco Lodola, Ugo Nespolo, Mimmo Palladino, Tullio Pericoli, Mario Persico, Gianni Pisani, Emilio Tadini si cimentarono nella rilettura di quella straordinaria lastra, in un progetto ideato e voluto da Pietro Lista e commentato da Gillo Dorfles, che scrisse di «accostamento tra passato e presente o addirittura tra passato e futuro» proiettando così l’immagine del Tuffatore al di là dell’evento archeologico. E se il tema del tuffo è saldamente presente in Montale, dalla celebre Esterina di Falsetto negli Ossi fino al Tuffatore del Diario del ’71 e del ’72, ci è tornato su più di recente il poeta napoletano Mariano Baino in “Metà della vita” dove il Tuffatore è colto appena ha spiccato il salto sullo specchio d’acqua nel passaggio tra vita e morte. Un segno forte della popolarità e dell’ormai stabile presenza del Tuffatore nell’immaginario più popolare è la sua rappresentazione tra le Luci d’artista a Salerno (nel 2017 sul tema “Il Mito, Il Sogno, Il Tempo e il Natale”), in un’installazione che riproduceva quel gesto e che ha campeggiato nelle strade della città campana per giorni con migliaia di visitatori. Gabriel Zuchtriegel, archeologo e già direttore del Parco Archeologico di Paestum, nel suo libro La tomba del tuffatore. Artigiani e iniziati nella Paestum di età greca, sottolinea l’unicità dell’affresco, nel panorama dell’arte funeraria greca. In occasione del cinquantesimo anniversario della scoperta della tomba, Zuchtriegel ha curato la mostra L’immagine invisibile presso il Museo Archeologico Nazionale di Paestum, in cui ha proposto una riflessione sull’invisibilità dell’affresco, in senso letterale, poiché destinato a rimanere nascosto all’interno della tomba, in senso metaforico, per il mistero che ancora avvolge la sua interpretazione. Zuchtriegel suggerisce che la scena del tuffo possa rappresentare un rito di passaggio o un’iniziazione sull’idea che l’immagine fosse destinata a un pubblico iniziato e quindi in grado di comprendere il significato profondo dell’affresco. Oggi Paestum non è solo storia; è anche cultura viva. È il luogo dove l’archeologia incontra la contemporaneità.





