di Olga Chieffi
E’ stato lanciato nel corso della settimana del Festival di Sanremo l’ultimo singolo del duo di cantautori Angelo Forni voce e chitarra e Fabio Sgrò al basso, “Stregoni e Dragoni”, una delle tracce del loro progetto d’imminente uscita. La canzone ci ha riportato alla mente il sirventese, quel componimento in versi, musicato, nato in Provenza nel Duecento e che in Italia poi, prese carattere narrativo, ma non perse quello spirito ironico e satirico nei confronti dei maggiorenti e governanti del momento. Un sogno in musica quello del duo, trovatosi a vivere questa pandemia, in cui è stata calpestata la libertà un po’ di tutti, quasi elevando, in certi momenti, un solenne de profundis per la democrazia del nostro paese, indorando l’amara medicina con sorrisi, mascherine da supereroi, l’appello alla necessità, ristori che rinculeranno, come il moto retrogrado di ogni arma da fuoco. Sono questi i nodi della storia che solo gli artisti possono rivelare e sciogliere, con il tocco della leggerezza, che tante volte manca, in particolare in questo momento e di cui si ha disperato bisogno. Lo stile musicale usato in “Stregoni e Dragoni” fa parte dei background culturale della formazione, ritmo grande comunicativa, una melodia e un chorus cantabile, per un testo le cui figure nascondono il periodo storico attuale, che ha forti e lunghe radici negli anni ’80, decennio in cui tra inflazione, sangue, edonismo reganiano, la guerra fredda, Maradona e la Nuova Camorra Organizzata, sembrava si vivesse meglio, con Bud Spencer, Terence Hill, il Ragionier Fantozzi e Rocky Balboa. Nella canzone s’intravvede come in uno specchio lucido e deformante, l’essenza del pensiero del filosofo canadese Alain Denult, ovvero la spiegazione del cosa e perché sia avvenuto, dagli anni ’80 ad oggi. Denault, nel suo volume “La Mediocrazia”, annuncia la presa del potere dei mediocri e l’instaurazione globale del loro regime, la mediocrazia, in ogni ambito della vita umana. Essere mediocri, spiega Deneault, non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei super competenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini, perché, se così non fosse, potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve “giocare il gioco”. Stare al gioco, vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi e il naso. Proliferano così le “democrature” per dirla con Predrag Matvejevic: sono governi legittimamente eletti dal voto popolare che spingono verso la progressiva limitazione delle libertà, disintegrando la separazione tra i poteri, come sta avvenendo in Turchia, Ungheria, Polonia o Russia. A livello globale trionfa il turbo-capitalismo delle “dittature illuminate” come Singapore e dei paesi “comunisti” come Cina o Vietnam. Nelle democrazie mature esplodono spinte populiste che portano a semplificare lo scenario istituzionale. Non era un esito prevedibile, ma abbiamo imparato che la storia non segue le nostre previsioni ma se ne va dove vuole. Uscirne? Personalmente sono pessimista ma, per evitare un futuro di cui faremmo volentieri a meno, Deneault indica una strada che parte dai piccoli passi quotidiani: resistere alle piccole tentazioni e dire no, riconquistando le perdute nozioni forti della storia democratica, come Popolo, la Cosa Comune e il Bene Pubblico. Resistere per uscire da questo ritorno al passato, non è certo semplice. Forse, varrebbe la pena tentare, cominciando dalla proprio dalle arti e dalla musica simboli inattaccabili della libertà umana. Una canzone salverà il mondo? Ne siamo certi poiché I Segni Distintivi dalla loro nascita, raccontando in musica storie vere e importanti, hanno inteso l’arte non come autoespressione ma quale automodificazione: “e ciò che altera è la mente, e la mente è nel mondo e costituisce un fatto sociale…Noi cambieremo in modo meraviglioso se accetteremo le incertezze del cambiamento: e questo condizionerà qualsiasi attività di progettazione. Questo è un valore” (John Cage).