Il secolo “breve” e le nuove estetiche musicali - Le Cronache
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Il secolo “breve” e le nuove estetiche musicali

Il secolo “breve” e le nuove estetiche musicali

Successo per il seminario: “Corpo, Parola e Suono nel teatro musicale del primo Novecento”, svoltosi nella sala concerti del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, alla presenza di un nutrita delegazione del Liceo “Alfano I”

Di Francesco Aliberti

Nell’epoca della resa dei conti tra l’Occidente e il resto del mondo, l’invito ad accostarsi alla triade suono-gesto-parola, declinabile in tutta la storia dell’arte attraverso una varietà di interrelazioni, assume il carattere di una sfida di sapore etico: valicare le barriere del linguaggio, così come è stato concepito dalla tradizione filosofica occidentale, presuppone il coraggio, presagito dalle figure della nuova sapienza nieztschiana, oltreumana ed ebbra di vita, di chi osa collocarsi oltre la potenza della Ragione per incontrare l’Altro: l’Ombra che atterrisce, il Divino che cattura, il Corpo che ‘sa’ più della Mente, l’Abisso su cui è sospesa ogni Verità. Discussione di non facile tessitura quella cui siamo stati invitati a tenere dal direttore Fulvio Maffia e dalla coordinatrice del dipartimento di musicologia Nunzia De Falco, per i ragazzi del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, e di una nutrita delegazione del Liceo musicale “Alfano I”, su di un tema particolare “Corpo, Parola e Suono nel teatro musicale del primo Novecento”, in dialogo con Massimiliano Locanto, docente di Storia della Musica presso l’ateneo salernitano. Perché è forse arrivato il tempo di voltare pagina e porsi “al di là del bene e del male”, oltre la nevrosi che Platone e Paolo, le colonne dell’Occidente, hanno alimentato per conseguire l’obiettivo, pur dignitosissimo, di una comunità politica fondata sulla Verità. Richiamando la prospettiva ermeneutica di Vitiello, va detto che il trauma della giustizia politica subita da Socrate spinge Platone a ricercare di ciò che è bene indipendentemente dalle contingenze del mondo, il che determina un esito fondamentalmente metafisico del suo pensiero: Platone tende a scorgere la Verità nella Ragione, e nel corpo con le sue pulsioni la menzogna che vanifica la giustizia nel mondo, l’inconscio che dissipa la luce ristoratrice della coscienza. Platone per Astrazione accede alla dimensione teologica, in un processo dal basso verso l’alto. Paolo, invece, nel segno della Rivelazione, si fa Apostolo delle genti per la fondazione della comunità: “Io vi ho generato in Cristo per mezzo del Vangelo di Gesù” (1Cor 4, 15). Sussiste nel pensiero paolino un processo di sedimentazione della comunità mediante l’accoglimento della parola di Paolo, che è abitato dalla parola di Cristo, che è a sua volta il Verbum apud Deum, la verità della Parola rivolta al mistero del Padre. La fondazione della comunità presuppone la hybris di Paolo in quanto totalmente abitato dalla verità di Cristo: una presunzione affine a quella filosofica, per cui la Ragione è l’unica risorsa degna di abitare l’Uomo e suggellarne il primato. E così l’Occidente europeo vive nel mito di se stesso fino all’inizio del XX secolo e rischia il suicidio nelle due guerre mondiali: l’Arte, in risposta all’esigenza diffusamente percepita di tale imminente collasso (o palingenesi?), sente l’esigenza di incontrare il rimosso, ciò che l’Occidente ha espunto nel processo di costruzione della propria potenza, tenendo conto della profetica consapevolezza nietzschiana della radicale impotenza della Ragione e del Linguaggio: la prima non può dare ragione di Sé, il secondo non può davvero conoscere le cose singole ed entrare nelle pieghe della Vita.“La guerra con le proprie ideologie distruttive e l’apparizione del mondo industriale – sottolinea Francesca Guerrasio – provocano, da un lato un sentimento di alienazione feroce, la paura dell’apocalisse, “la dissonanza tra la terra ancestrale dalla quale l’uomo è uscito e il mondo moderno ” con le sue città e le sue macchine; dall’altro l’esaltazione di questi cambiamenti: frenesia del progresso, della velocità e della simultaneità”. Al collasso del tradizionale sistema teologico-politico corrisponde un senso di disillusione ed incertezza nel futuro, accompagnato da una sostanziale insoddisfazione legata all’esigenza, già avvertita da Nietzsche, di una transvalutazione, una radicale palingenesi del pensare e del vivere. La musica e la cultura avanzano nuove estetiche, talvolta divergenti tra loro ma tutte fondate su una comune tensione etica, che lasceranno tracce indelebili sull’arte contemporanea. Gli esempi presi in considerazione, pertanto, non esauriscono la ricchezza delle estetiche in gioco, ma aprono ad una immediata comprensione del clima di rinnovamento in atto. Cage provoca le coscienze con il Silenzio, esibendo la musicalità degli sguardi e delle attese, la carica vibratoria dello spazio prima di ogni risonanza, lasciando aperta la possibilità di esperienze sonore non decise a priori: il Possibile prima del Reale, in un epocale rovesciamento della logica aristotelica. Alda Merini racconta l’Altra Verità: la persona malata è la persona tradita da coloro che pretendono di piegare con la forza l’Ombra che dimora in noi. Berio, infine, invoca la significanza originaria dei fonemi che si collocano all’origine del linguaggio: voce senza parole, brusii del corpo, tracce di pensiero fantasmatico e vissuto erotico che ‘parlano’ della nostra vita, del nostro inconscio, ancor prima del parlare, e sono all’origine della comunicazione verbale organizzata, a un livello in cui suono, gesto, sguardo e significato sono tutt’uno. Questo incontro con alcuni tra i volti più rappresentativi della contemporaneità consente di chiarire meglio il senso di certi aspetti del teatro musicale del primo Novecento che denotano – come sottolinea Locanto – la crisi delle convenzioni su cui si erano retti i vari generi operistici fino al secolo precedente. In primo luogo il riconoscimento, attraverso i monodrammi dell’espressionismo, dell’impossibilità del dialogo, spazio platonico per eccellenza, in quanto la Verità sorge dal profondo, dal rimosso della coscienza, per cui perde di senso ogni tentativo di stabilire tra i personaggi un confronto che acceda a una comprensione superiore e condivisa. Particolare rilievo assume la tendenza a conferire maggiore importanza all’espressione corporea: essa dà forma alla componente musicale, che va articolandosi in gesti sonori attestanti il sovvertimento dei consueti rapporti gerarchici tra le diverse espressioni artistiche in gioco, mentre la funzione espressiva del testo regredisce a favore delle altre componenti dello spettacolo. Non che la dimensione corporea in passato fosse esclusa dall’orizzonte delle arti, ma va sottolineato come a partire dal Novecento si cerchi un approccio non più filtrato dal naturalismo e dalla ricerca dell’armonia tra le parti, in quanto non è più la Ragione a dare forma alla realtà del corpo, riducendola a una delle tante figure della coscienza, ma è il corpo a trovare uno spazio proprio in quanto Altro dalla Ragione. Pertanto, molte caratteristiche anticonvenzionali della musica riflettono l’immagine di un corpo dai tratti antinaturalistici. Locanto rammenta la tendenza alla stilizzazione, i gesti angolari e spezzati, il carattere meccanico e marionettistico, la prospettiva schiacciata e bidimensionale, fattori che si fanno evidenti nel teatro musicale di Stravinskij: persino nell’Oedipus rex, nel quale l’oblio del corpo, attraverso la maschera e la ieraticità del gesto, risponde all’esigenza liberatoria di svelare una dimensione somatica autenticamente altra rispetto alla Ragione. Eppure, a nostro parere, si deve ammettere, a un secolo di distanza, che tali esperienze – variegate e creative, tutte dignitosissime e talvolta intrise di un pathos che suscita ammirazione e sgomento – non sono riuscite a trasformare dal profondo il nostro modo di vivere. Soffriamo ancora di una nevrosi lacerante: basti considerare la scarsa abitudine di chi pratica il canto ad ascoltare il proprio corpo, a vincere le resistenze della mente, a lasciare che il fiato sia espressivo e possa operare senza sovrastrutture. E così, l’uso della voce può assurgere a paradigma della comprensione di un modo di stare al mondo in cui si torni ad ascoltare, percepire, incontrare, esplorare, ad essere interrogati dalla Verità senza pretendere di possederla: “E voi, Chi dite che Io sia?” (Mt 16,15)