Caro Maestro, ieri chiacchieravo al telefono con Tonino Pavan, il decano – diciamolo per i non addetti ai lavori – dei sindacalisti degli attori italiani, attore a sua volta. Discutevamo del perché il nostro Teatro non funziona più, ragioni politiche, sindacali, artistiche. Perché è inutile che ci stiano a raccontare favole, noi lo sappiamo: il Teatro italiano non funziona più, è in una sorta di coma perenne, o quando va bene vive portandosi dietro la bombola di ossigeno. Tu queste cose le sapevi bene, le sentivi, le annusavi nell’aria come un leone che fiuta la preda, e le dicevi, spudoratamente, proprio come un attore deve fare, ogni volta che ne avevi la possibilità. Cercavi di mettere in guardia – l’ho sentito più volte con le mie orecchie – tutti quelli che stanno nei posti in alto, cercando di far comprendere loro che non era solo una questione artistica, era una questione di responsabilità verso tutto il mondo teatrale. Sono passati circa dieci anni da quando ho avuto l’onore – l’o-no-re! – di lavorare al tuo fianco in uno spettacolo bellissimo, “Il sindaco del rione Sanità”, di Eduardo, e le cose sono andate sempre peggio. I motivi sono tanti, e tra questi c’è anche il senso dell’assunzione di responsabilità che il capocomicato comporta e che si è andato annacquando. Tu questo senso, come i veri grandi del passato, lo avevi, e noi tutti, i tuoi attori e i tuoi tecnici, lo vedevamo in te ogni volta che c’era da fare uno “scavalca-montagna”, un debutto in un piccolo teatrino di paese, un viaggio faticoso per raggiungere una piazza. Perché è questo che certi “signori” di oggi dovrebbero sapere: il Grande Ufficiale della Repubblica Carlo Giuffré, dall’alto di una carriera sfavillante, dall’alto dei suoi ottant’anni allora e della sua sapienza teatrale indiscussa, non si tirava mai indietro, mai e poi mai lo abbiamo sentito lamentarsi del posto in cui la produzione lo aveva catapultato. Perché il Grande Ufficiale Carlo Giuffrè sapeva di avere una responsabilità, prima ancora che verso la produzione, verso i suoi attori e tecnici, verso quelle persone che non erano state fortunate come lui ma che avevano diritto al loro dignitoso lavoro. Io, caro Maestro, ho imparato tante cose da te, cose che, come mi capitava di dirti e tu ne sorridevi, mi facevano anche arrabbiare, perché volevo comprendere quel tuo bagaglio di sapienza antica, ma volevo farlo con il raziocinio, col cervello, mentre quella di noi comici, ho poi compreso, è sapienza del cuore, ed è bastato starti vicino, osservarti, ascoltarti perché “lo scambio” avvenisse. Ma la cosa che più tengo viva in me è quel tuo maestoso senso della dignità del mestiere che conservavi e testimoniavi sempre, nei teatri più belli come nei più infimi, nelle città importanti come nei paesi sperduti della nostra Italia. Il lavoro era lavoro, e il pubblico meritava dovunque lo stesso rispetto. Una lezione persa. In quel “Sindaco” avevo con te, a inizio terzo atto, un intenso e dolente dialogo di circa una ventina di minuti alla fine del quale uscivo per un momento di scena. Un mercoledì sera, a Firenze, in un Teatro della Pergola stracolmo come sempre era con Carlo Giuffré, appena fuori le quinte ho trovato di fronte a me la collega Stefania Aluzzi che attendeva di entrare, e senza nemmeno respirare l’ho abbracciata e ho pianto. Non ero triste, ero felice. Avevo sentito per un momento quello che auguro di sentire a ogni attore almeno una volta nella sua vita: il silenzio assoluto, l’attenzione totale che saliva dalla sala al palcoscenico. Non c’era un colpo di tosse, un aggiustamento sulla sedia, uno scarto di caramella, un sospiro, niente. In quei venti minuti, caro Maestro, il pubblico era completamente con noi e su di noi, e noi con lui in una attenzione che potevi magicamente toccare. Cosa può chiedere di più un attore? Niente credo. Io devo a te, anzi a Voi, come preferivate, Maestro, uno dei ricordi più preziosi di trent’anni di teatro, e vi assicuro che non arrivano a cinque. Sono certo, caro Maestro, che a tanti di noi avrai regalato emozioni o soddisfazioni di questa portata. Per cui ti abbraccio e ti saluto a nome di tutta la compagnia del “Sindaco”, i tuoi attori e i tuoi tecnici sono ancora qui che ti ricordano con affetto e ti ringraziano: Aldo De Martino, Piero Pepe, Alfonso Liguori, Massimo Masiello, Roberta Misticone, Geremia Longobardo, Vincenzo Borrino, Stefania Aluzzi, Salvatore Felaco, Gennaro De Biase, Enzo Romano, Antonella Lori, Monica Maiorino, Benedetta Bottino, Francesco De Simone, Ferruccio e Domenico Pepe, Pierino Meglio, Luigi Bagnato. Riposa sereno, saluta i vecchi amici.