Il preside Naddeo: il nostro compito è fare cultura - Le Cronache Attualità

di Matteo Gallo

 

 

Alla prima versione di greco prese tre. Con la penna rossa e ben sottolineato. «Poi la professoressa mi prese da parte e mi disse che avrei potuto fare meglio. Molto, meglio. Questo accese/ quelle parole di stima e incoraggiamento accesero in me una scintilla decisiva» racconta con orgoglio Claudio Naddeo, rettore del Convitto nazionale e dirigente dell’istituto professionale Trani, al terzo mandato alla guida della costola salernitana dell’Associazione nazionale dei presidi (Anp). Per lui – da allora – la strada sarà tutta in salita ma piena di titoli accademici, pubblicazioni editoriali e soddisfazioni professionali. Da una prima laurea in lettere classiche a una seconda in pedagogia, entrambe cum laude. Dalla cattedra di latino e greco nei licei classici per quattro lustri alla docenza universitaria in storia antica e greca.  «La responsabilità nell’accompagnare e orientare gli studenti è davvero enorme» evidenzia il dirigente scolastico «Fin dall’inizio della mia carriera ho vissuto questa responsabilità come una stella polare».

Preside Naddeo, alla luce della sua lunga esperienza al servizio dell’istituzione scolastica, come definisce lo stato di salute attuale della scuola pubblica italiana?

«Buono se prendiamo in considerazione l’attenzione concreta ai temi dell’inclusione e ai bisogni formativi degli studenti. Meno buono se parliamo di edilizia scolastica. Ci sono istituti così vecchi che per essere al passo con la normativa sulla sicurezza sarebbe più conveniente ricostruire ex novo».

L’autonomia scolastica ha cambiato la scuola? 

«Prima dell’autonomia la scuola non aveva necessità di rendicontare il proprio operato. Adesso, invece, deve preoccuparsi dei risultati. Una logica che con il Piano nazionale di ripresa e resilienza si è fatta ancora più stringente».

Nel corso degli anni anche il ruolo del dirigente scolastico è molto cambiato. 

«Il ruolo del dirigente è ancora in cambiamento. Oggi chi guida un istituto scolastico se ne assume la responsabilità civile, penale, amministrativa e naturalmente dei risultati, raggiunti o meno. La sottoscrizione di contratti triennali con i dirigenti – triennali come il piano per l’offerta formativa e il piano di miglioramento – è mossa esattamente da questa logica: se non raggiungi gli obiettivi vieni trasferito. O meglio, dovrebbe esserlo…».

La scuola è diventata troppo simile a un’azienda?

«La scuola si occupa di formazione e, in questo specifico senso, è giusto ragionare per obiettivi, target e piani di miglioramento. A scuola, però, non si producono oggetti ma si interagisce con un capitale di infinita ricchezza, intangibile e immateriale quale quello umano. Non bisogna mai dimenticarlo».

Nel rapporto – necessario e non sempre facile – tra scuola e giovani generazioni c’è oggi un medium invasivo e pervasivo come la Rete. Quanto questo modifica gli equilibri?

«Le giovani generazioni sono la bussola della scuola e ne orientano l’agire da sempre. Sicuramente oggi la concorrenza-interferenza di determinati fattori nuovi, come il web appunto, produce non pochi problemi al netto delle enormi opportunità che crea. Una volta la scuola era l’unico luogo deputato alla trasmissione del sapere. Adesso, invece, è in competizione con quest’ultima».

Come si risolve questa “concorrenza”?

«Con l’educazione civica. Educare alla cittadinanza attiva non significa semplicemente acquisire conoscenze ma anche promuovere comportamenti virtuosi. E’ fondamentale lavorare sulla cittadinanza digitale. La tecnologia rappresenta un’enorme opportunità di studio e di formazione. Il problema è purtroppo l’overload informativo. Per evitare che produca danni i ragazzi devono sviluppare una reale capacità di lettura, decodifica e filtraggio ed essere educati all’utilizzo consapevole e responsabile dei nuovi strumenti tecnologici. In questo senso la scuola ha un ruolo decisivo».

La scuola deve continuare a fare cultura?

«Assolutamente sì. La scuola deve fornire alle nuove generazioni gli strumenti per la lettura della complessità della realtà. Siamo in una fase storica in cui la parola chiave è transizione. Transizione ecologica, transizione digitale. In queste fasi non esistono dei contorni netti e la scuola deve fornire i mezzi per sapersi orientare».

Secondo lei i giovani di oggi sono più fragili sul piano emotivo rispetto alle generazioni che li hanno preceduti?

«La fragilità emotiva appartiene all’essere umano. Tuttavia cambiano gli scenari in cui si manifesta».

La scuola può e deve fare di più da questo punto di vista?

«L’educazione ai sentimenti si fa attraverso le discipline. La scuola lo ha sempre fatto e continua a farlo. Anche l’orientamento si fa allo stesso modo: la didattica orientativa ne è la dimostrazione».

L’impoverimento del linguaggio giovanile, anche e soprattutto per effetto dell’uso intensivo della tecnologia come strumento di comunicazione e relazione, ha subito un’accelerata diventando vera e propria emergenza.

«Tra i compiti della scuola c’è quello di interrogare ed educare al pensare. A questo compito non dobbiamo rinunciare ma per essere più incisivi bisogna portarlo avanti utilizzando, appunto, anche gli strumenti del presente».

L’alleanza scuola-famiglia è in crisi?

«La fiducia reciproca è fondamentale ma purtroppo non sempre da parte delle famiglie c’è fiducia nei confronti dell’istituzione scolastica. Troppo spesso i genitori puntano il dito contro la scuola per partito preso. Naturalmente anche i docenti possono sbagliare ma la difesa incondizionata dell’alunno crea individui non responsabili».

Anche le famiglie vivono oggi una stagione complicata.

«Tutte le agenzie formative che un tempo avevano un ruolo ben più preciso sono state assorbite e catapultate sulla scuola creando non pochi momenti di disorientamento nei docenti.  Non dimentichiamo che gli stessi docenti sono risorse umane e che, in generale, tutto ciò che compone la comunità educante è portatrice di bisogni».

Dimensionamento scolastico: una necessità o un errore politico?        

«E’ un discorso complesso e molto spesso strumentalizzato. Le scuole non saranno chiuse, tuttavia diminuirà il numero delle dirigenze. Questo processo è in atto dalla legge 11 del 2011: allora i presidi erano 14mila mentre adesso sono poco più di 8mila. Ci sono diversi fattori che hanno portato alla necessaria riorganizzazione della rete scolastica, uno dei quali è il tasso di natalità ai minimi storici. Ottimizzare le risorse è senza dubbio necessario. Detto questo, nel caso specifico della provincia di Salerno. il livello regionale ha tenuto assolutamente conto delle sue peculiarità».

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sostiene con grande impegno finanziario la transizione digitale. Questo processo di adeguamento-cambiamento-accelerazione è governato o subito dalla scuola?

«Siamo dentro questo processo senza essere in grado di comprenderne gli esiti né di poterli prevedere. Abbiamo ricevuto risorse importanti per accompagnare la transizione digitale e le abbiamo investite. Tuttavia gli interrogativi nascono di continuo».

Che tipo di interrogativi?

«L’impiego, ad esempio, dell’intelligenza artificiale nelle applicazioni per l’apprendimento. I nuovi strumenti tecnologici non sono la panacea di ogni male. Vanno integrati nella didattica con la consapevolezza che sono solo un mezzo e non il fine. In questo senso il ruolo del docente, formato adeguatamente, è fondamentale».

 

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