Accettato l’invito del M°Alessio Vlad, la notte stessa del trionfo. Questa sera alle ore 20 Giuseppe Gibboni farà risuonare il suo Balestrieri con la Asian Youth Orchestra diretta da Joseph Bastian, sul palco più bello del mondo
Di Olga Chieffi
“E’ una ulteriore affermazione della grande tradizione violinistica salernitana. Sono diversi i solisti e le prime parti che vanta Salerno. La mia speranza è ora che il Giuseppe Gibboni, Premio Paganini 2021, accetti l’invito di suonare a Ravello, nella città della musica”. Questa la dichiarazione che il M° Alessio Vlad rilasciò qualche minuto dopo la proclamazione di Giuseppe Gibboni quale vincitore del Premio Paganini, un invito che è stato accettato dal violinista, il quale stasera, alle ore 20, debutterà al Ravello Festival, che così aggiunge un’altra gemma al cartellone della LXX edizione. Giuseppe Gibboni, che ha fatto una piccola incursione nella sua terra, donando il suo sorriso e la sua arte tra i palcoscenici del Giffoni Film Festival, a quello amico del Premio Charlot, al teatro Romano di Benevento, proporrà il suo Paganini, quello del Concerto n.1, op.6 in re maggiore, sostenuto dalla Asian Youth Orchestra diretta da Joseph Bastian. L’opera 6 testimonia la raggiunta maturità di mezzi e di modi, l’eloquio caldo, la vena brillante, una forma adulta e personale, che rimarrà abbastanza costante nel tempo, ponendosi come punto di riferimento per i concerti successivi. Di quale forma si tratti, l’Allegro maestoso d’apertura ce lo dice subito: un avvicendarsi continuo di virtuosismo dirompente e cantabilità diffusa e sempre ricca, per spunti e idee messi di seguito l’uno all’altra, ma non sviluppati. Ed è questa la forma autentica e dominante dei concerti paganiniani, nei cui Allegro iniziali, il riferimento alla forma-sonata, con un primo tema ritmico e il secondo cantabile nella tonalità della dominante o al relativo maggiore, è spesso solo un pretesto, un risalto esteriore. Tanto che all’elaborazione tematica – situazione principe della forma-sonata – e a un dialogo scambievole fra solista e orchestra, si sostituisce in genere, l’avvicendarsi continuo tra proposizioni di tesa o larga cantabilità, eppure spesso quanto mai ardue sotto il profilo esecutivo, a soluzioni dichiaratamente trascendentali ed esibite. Dal canto suo l’orchestra, quando si escludano i Tutti o ritornelli di raccordo, si limita – alleggerita degli archi di ripieno, ad accompagnare il solista e a dargli il maggior risalto possibile, alleggerimento, come scrive Alberto Zedda, probabilmente suggerito dal gran numero di strumenti ad arco che figuravano nelle orchestre ove Paganini era ospite. Nei modi, l’orchestra dell’op.6 appare subito rossiniana. Amico intimo di Paganini fin dal 1813. L’Adagio è noto come “aria di prigione”; pare che sia stato ispirato a Paganini da una scena drammatica di prigionia; ma ciò che emerge con maggiore evidenza è l’influenza del melodramma: l’orchestra sembra introdurre un’aria d’opera affidata alla voce del violino. Nel Rondò spiritoso domina una delle specialità di casa Paganini: la melodia cantabile interamente eseguita su una sola corda. la quarta, impegnandosi a dare sfogo alle più iperboliche combinazioni di guizzanti colpi d’arco, di difficilissimi passaggi in armonici doppi, di scale e arpeggi d’ogni genere, fino ad arrivare a registri impervi e acutissimi. Il programma verrà inaugurato dalla Sinfonia n°1 in Re maggiore, op.25 di Sergej Prokofiev. Come osserva Roman Vlad, nei suoi scritti, in questa pagina, “la decantazione e la semplificazione neoclassica non assumono in Prokofiev quegli aspetti di ascetica rinuncia e scarnificazione che definiscono il senso recondito di tante musiche neoclassiche di Stravinskij, ma nascono dalla spontanea tendenza alla piú diretta immediatezza espressiva, aliena da tormentosi approfondimenti introspettivi, che abbiamo già additato quale una delle piú autentiche caratteristiche della natura musicale di Prokofiev”. I quattro tempi della Sinfonia seguono rigorosamente la successione dei modelli classici: cosí, al primo tempo in forma di sonata, segue un Larghetto molto espressivo e appena increspato di nostalgia, con, tra le righe, un timido accenno di ironia. Il terzo tempo, una Gavotta sull’esempio stilizzato delle danze di corte settecentesche, si raccomanda come il gioiello di tutta l’opera, che ha poi nel finale (Molto vivace), impetuoso e spumeggiante il rituale baldanzoso lieto fine. Finale con la Sinfonia n.4 in la maggiore “Italiana”, op.90 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, dedicata al nostro spirito. L’attacco del primo movimento sembra una scena piena di una luce e di un’allegria tipicamente italiane, espresse vigorosamente dall’entusiastica melodia dei violini, i movimenti centrali rappresentano due pause distensive: il secondo descrive il pathos e la solennità di una processione religiosa napoletana, mentre il terzo, in forma di minuetto, esprime quel senso di grazia e leggerezza della vita squisitamente italiano. Con l’ultimo movimento, infine, ritorna l’ebbra atmosfera iniziale, infiammata ulteriormente dai ritmi incessanti e travolgenti del saltarello, simbolo della volontà di vivere l’esistenza con ebbrezza ed entusiasmo.