di Giovanna Naddeo
Una tiepida domenica di novembre, un piatto fumante di gnocchi al sugo, il gusto del dolce a fine pranzo. Scene di vita familiare, scene che si consumano in ogni casa, date per scontato, abituali, solite. Eppure c’è chi vorrebbe tornare indietro nel tempo per rivivere questi momenti o superare velocemente le difficoltà del presente.
Sono tante le storie che si intrecciano nel corso del pranzo offerto dalla Caritas Diocesana in occasione della “Seconda Giornata Mondiale della Povertà”, indetta da Papa Francesco. Oltre duecento persone tra richiedenti asilo, senza fissa dimora e disoccupati hanno accolto l’invito per trascorrere qualche ora in amicizia, davanti a un buon pasto caldo. Non c’è distinzione di sesso, religione, nazionalità. Siedono tutti allo stesso tavolo, accolti dalla generosità e dai sorrisi di volontari, assistenti sociali, psicologi, avvocati e medici, tutte persone di cui hanno imparato a nutrire fiducia.
«Partiamo da un presupposto: la violenza non ha colore, né lingua o religione». Lo dichiara Filomena Capasso, responsabile della casa di accoglienza per donne e minori vittime di violenza di Pellezzano. «La nostra struttura è aperta a tutte le donne, italiane e straniere. Attualmente ospitiamo 12 donne e 4 minori. Per quanto riguarda le donne extracomunitarie, si tratta di ragazze sbarcate già in stato di gravidanza, violentate durante il viaggio o anche prima, nel loro villaggio d’origine. In patria sono sottoposte a riti voodoo e per questo rimangono indissolubilmente legate alle persone che le portano qui. Stiamo ospitando donne provenienti da Niger e Libia. Molte ancora non parlano la lingua italiana ma stanno seguendo corsi di alfabetizzazione”.
Tra queste c’è Alexandra, 23 anni, giovane nigeriana. Non parla italiano, solo l’inglese. E’ da poco presso la casa d’accoglienza di Pellezzano. Dice di essere felice e che ha stretto amicizia con le altre donne ospitate nella struttura. Poco più in là, dall’altro lato del tavolo, siedono alcuni uomini ospiti del dormitorio Caritas di Largo Barbuti. Tra questi c’è Nicola Correale, papà divorziato, con la sua storia. «Fino a cinque anni fa ero un lavoratore, un marito e un papà di tre figlie. Un giorno lo scatolificio dove lavoravo ha chiuso e da lì è cominciato il mio calvario. Già da bambino avevo sofferto per la separazione dei miei genitori, adesso toccava a me far soffrire le mie figlie – racconta Nicola – Ho avuto qualche guaio con la giustizia e da quel momento ho iniziato a chiedere aiuto. Sono stato ospite a Codola di Roccapiemonte e da inizio novembre dormo nella struttura dei Saveriani. Da tre mesi faccio assistenza a una persona anziana. Purtroppo quel che guadagno non mi basta per sopravvivere. Vorrei stare in una casa mia, ritornare alla mia autonomia». Ma ciò di cui Nicola sente più la mancanza sono le sue figlie. «Non le vedo da quattro anni ormai. Eppure un papà è sempre papà, a prescindere dalla condizione economica. Contano solo i sentimenti».
Accanto a lui siede Luciano Menella, anche lui ospite presso il dormitorio di Largo Barbuti. «Mi trovo in questa condizione per problemi familiari. Prima ero un agente immobiliare, poi ho perso il lavoro e da lì è cominciato il mio travaglio. Grazie alla Caritas, sono stato ospite prima nel centro di Piazza San Francesco e ora sto ai Barbuti. La mia giornata tipo? La mattina mi alzo, faccio colazione in dormitorio e poi vado in giro in cerca di lavoro. Mi accontenterei di tutto. L’importante per me è lavorare. Il pomeriggio visito qualche amico e poi la sera torno in dormitorio. Molti amici che erano con me nella struttura di Piazza San Francesco hanno deciso di dormire in strada, sotto i ponti o alla stazione. Sono scelte di vita».
Giovanna naddeo