Il figlio sapeva delle attività del padre resta il sequestro del patrimonio - Le Cronache
Provincia Cava dè Tirreni

Il figlio sapeva delle attività del padre resta il sequestro del patrimonio

Il figlio sapeva delle attività del padre resta il sequestro del patrimonio

Ricorso giudicato inammissibile dalla Corte di Cassazione per i familiari di Gennaro Ferrara, accusato di estorsione e usura dall’Antimafia salernitana e di intestazione fittizia ed esercizio abusiva del credito. Resta sotto sequestro anche il patrimonio del figlio che avrebbe avuto quote societarie presso attività commerciali. La motivazione del ricorso presentata dall’avvocato Teresa Sorrentino era basata dal fatto che il consistente arco temporale intercorso tra l’avviamento dell’attività commerciale posta sotto sequestro (aprile 2016) e l’attribuzione del 20% delle quote sociali al figlio dell’uomo finito nel mirino della Dda avrebbe imposto specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo. La difesa affermava che avendo il Tribunale del Riesame annullato il provvedimento genetico nei confronti del padre per difetto di gravità indiziaria con riguardo ai delitti di usura ed estorsione nei confronti una vittima, confermando l’apparato cautelare esclusivamente in relazione alle condotte di intestazione fittizia e di abusivo esercizio del credito. Scrive la Cassazione “l’ordinanza impugnata ha evidenziato la collaborazione prestata dal ricorrente nella riscossione dei ratei dei prestiti abusivamente erogati dal padre e i giudici della cautela reale hanno rimarcato la pregressa condanna per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e il perdurante inserimento in circuiti illeciti e, quanto al prevenuto, la consapevole e fattiva collaborazione prestata al padre nell’attività di esercizio abusivo del credito nonché l’assenza di autonome fonti di reddito neo periodo d’interesse…”. E delle attività illecite pregresse del genitore ne era a conoscenza il figlio ricorrente contro il sequestro bene. “Il legame filiale, la conoscenza dei suoi trascorsi giudiziari come pure delle ingenti risorse investite in un breve arco temporale in varie iniziative commerciali ed imprenditoriali, formalmente facenti capo alla coniuge e ad altri familiari, sono elementi idonei ad attestare la consapevolezza del prevenuto (figlio) circa il ricorso all’interposizione quale strumento di elusione di possibili misure patrimoniali ablative”, aggiunge la Cassazione nelle motivazioni di rigetto.