di Erika Noschese
Un farmaco contro l’ipertensione diventa la pillola “magica” per affrontare l’ansia da prestazione. Negli Stati Uniti, attori, musicisti e professionisti usano sempre più spesso il propranololo, un vecchio betabloccante, per gestire i sintomi fisici di stress e nervosismo prima di eventi importanti, come un’esibizione, un esame o una riunione. Sebbene questo farmaco non agisca sulle cause psicologiche dell’ansia, la sua popolarità è in forte crescita, favorita anche dalle dichiarazioni di personaggi famosi e dalla facilità di acquisto tramite piattaforme di telemedicina non regolamentate.
Ma cosa significa questo trend per la sanità italiana? Quali sono i rischi di un uso off-label e quali le alternative terapeutiche più sicure? Ne abbiamo parlato con il dottor Davide Amendola, Presidente dell’ISPPREF Napoli-Salerno (Istituto di psicologia e psicoterapia relazionale e familiare di Salerno), per capire meglio questo fenomeno e le sue implicazioni.
Come valuta il crescente utilizzo del propranololo negli Stati Uniti per trattare l’ansia da prestazione? Ritiene che questo trend possa arrivare anche in Italia?
«Ritengo che sia molto probabile che questo trend arrivi anche in Italia, anche se non credo che l’uso diventerà così massiccio e diffuso come negli Stati Uniti. I contesti culturali e i sistemi sanitari sono diversi, il che influenzerà sicuramente la velocità e l’intensità di adozione di questa pratica».
Il propranololo, in quanto betabloccante, agisce sui sintomi fisici dell’ansia come tachicardia e tremori. In che modo questa azione si differenzia da quella di farmaci più comunemente usati per l’ansia, come gli SSRI o le benzodiazepine, che agiscono sui processi chimici del cervello?
«C’è una differenza sostanziale nell’azione di questi farmaci. Gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) sono utilizzati per il trattamento a lungo termine dei disturbi d’ansia generalizzati. Agiscono come una sorta di prevenzione, modificando la chimica cerebrale nel tempo e non sono indicati per le crisi acute o situazionali, come quelle legate a un’ansia da prestazione imminente. Le benzodiazepine, invece, agiscono in modo più rapido e mirato, non solo sui sintomi fisici, ma anche su quelli psichici. Il loro effetto è più globale e mirato, anche se possono causare effetti collaterali come sedazione, e non presentano i rischi di cali pressori o alterazioni del ritmo cardiaco tipici dei betabloccanti».
Quali sono i rischi e gli effetti collaterali principali, anche a bassi dosaggi, legati all’uso off-label del propranololo per l’ansia da prestazione?
«Anche a bassi dosaggi, l’uso del propranololo può comportare diversi rischi ed effetti collaterali. I più comuni includono l’abbassamento della pressione sanguigna, stanchezza, vertigini, e la sensazione di mani e piedi freddi. Possono anche verificarsi disturbi gastrointestinali. È fondamentale sottolineare che, nei soggetti asmatici, il propranololo è assolutamente controindicato, in quanto può scatenare pericolosi episodi di broncospasmo».
Il propranololo non è selettivo e agisce su tutti i recettori beta del corpo. Questo lo rende più pericoloso rispetto ai betabloccanti più moderni?
«Sì, il fatto che il propranololo agisca su tutti i recettori beta del corpo lo rende meno selettivo rispetto ai betabloccanti di più recente generazione. Questo è uno dei motivi per cui il suo uso, nel tempo, è progressivamente diminuito a favore di farmaci più specifici e con un profilo di rischio più controllato».
Per un professionista della salute mentale, quali sono le principali preoccupazioni riguardo all’autoprescrizione o all’acquisto di farmaci tramite piattaforme di telemedicina non regolamentate, come descritto nell’articolo?
«Le preoccupazioni sono ovvie e significative. L’autoprescrizione rappresenta un rischio elevato e le conseguenze possono essere molteplici, specialmente in ambito psichiatrico, dove questa pratica è purtroppo diffusa da tempo. Senza una valutazione medica adeguata, si rischia di sbagliare diagnosi, dosaggio e di non considerare le eventuali controindicazioni o interazioni con altri farmaci, mettendo a rischio la salute del paziente».
Esiste, a suo avviso, un’effettiva distinzione tra “ansia da prestazione” e “ansia generalizzata” che possa giustificare l’uso di farmaci diversi per ciascuna condizione?
«Certamente. Si tratta di due aspetti dell’ansia molto diversi, che richiedono approcci terapeutici distinti. L’ansia generalizzata è una condizione cronica e pervasiva, mentre l’ansia da prestazione è situazionale, legata a eventi specifici. Quest’ultima, in particolare, si giova maggiormente del supporto psicoterapeutico, che agisce sulle cause e sui meccanismi di gestione dello stress».
Considerando la mancanza di studi clinici su larga scala sull’efficacia del propranololo per l’ansia da prestazione, in che modo la comunità medica, e in particolare la psichiatria, gestisce la pressione mediatica e sociale legata all’uso di questi farmaci?
«La comunità medica gestisce questa pressione seguendo scrupolosamente i canali ordinari e le linee guida dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). È compito dell’AIFA monitorare, vietare l’uso inappropriato dei farmaci o, nel caso di uso off-label, stabilire un consenso informato per garantire la sicurezza del paziente. La scienza e la regolamentazione devono sempre avere la priorità sulla pressione mediatica».
In Italia l’uso off-label del propranololo per l’ansia è ancora marginale. Quali sono le ragioni di questa differenza rispetto agli Stati Uniti?
«A mio avviso, la principale ragione risiede nella mancata diffusione di questo approccio a livello di comunicazione e di prassi medica in Italia. La cultura medica e il sistema sanitario italiano sono diversi, e non si è ancora creato un dibattito o una tendenza tale da spingere i medici a considerare l’uso di questo farmaco per l’ansia da prestazione su larga scala».
Quando e in quali circostanze un professionista in Italia potrebbe prendere in considerazione la prescrizione di propranololo per l’ansia da prestazione?
«Un professionista in Italia potrebbe considerare la prescrizione di propranololo in circostanze ben definite, come nel caso di un paziente con crisi di panico che manifesta tachicardie significative, specialmente se è anche un soggetto cardiopatico. Un’altra circostanza potrebbe essere l’intolleranza alle benzodiazepine, che rende necessarie alternative terapeutiche per la gestione dei sintomi fisici dell’ansia».
Al di là della farmacologia, quali sono le alternative terapeutiche, come la terapia cognitivo-comportamentale, che lei ritiene più efficaci e sicure per affrontare l’ansia da prestazione?
«Ritengo che la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) sia una delle alternative più efficaci e sicure. Questo tipo di terapia non si limita a trattare i sintomi, ma fornisce al paziente strumenti concreti per affrontare l’ansia, come l’acquisizione di tecniche di rilassamento e la ristrutturazione dei pensieri disfunzionali. È un approccio che mira a una soluzione a lungo termine, insegnando al paziente a gestire la propria ansia in modo autonomo».
A livello regionale, in Campania e specificatamente nella provincia di Salerno, ha notato un aumento delle richieste o delle prescrizioni di farmaci come il propranololo per l’ansia da prestazione, magari influenzate dal trend americano?
«No, non ho notato un aumento significativo. Sebbene ci siano stati casi isolati di richieste, non ho dato particolare importanza al fenomeno, poiché si tratta di episodi sporadici e non di un trend consolidato».
Qual è l’approccio del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno rispetto al trattamento dell’ansia da prestazione? Si fa ricorso a terapie farmacologiche, psicoterapeutiche o a un approccio combinato?
«Il nostro Servizio Psichiatrico non ha un approccio specifico e dedicato per l’ansia da prestazione. Tuttavia, i pazienti che ne sono affetti e che si rivolgono a noi vengono solitamente inviati a un trattamento ambulatoriale che integra un approccio sia farmacologico che psicoterapeutico. Crediamo che l’approccio combinato sia il più efficace per affrontare questa condizione in modo completo, trattando sia i sintomi che le cause profonde dell’ansia».





