di Andrea Pellegrino
Prosegue l’attività da parte della Procura della Repubblica e del Noe sul caso Ideal Standard. I carabinieri del nucleo ecologico di Salerno hanno, infatti, eseguito anche l’accesso presso l’ex stabilimento della zona industriale di Salerno, attualmente mantenuto in proprietà dalla società che fa capo all’Energy Plus ma che dovrebbe essere ceduto a fine mese all’imprenditore Salvatore Barbato. Intanto, dopo le testimonianze raccolte dai militari del Noe, coordinati dal luogotenente Giuseppe Recchimuzzi, un primo riscontro – all’interno dello stabilimento dismesso – pare ci sia già stato. Ma le ulteriori verifiche, quindi i possibili carotaggi, potrebbero confermare o meno la presenza di amianto e rifiuti speciali e pericolosi interrati all’atto della chiusura dell’opificio ed il passaggio con la società Sea Park che avrebbe dovuto realizzare, in quell’area, un parco acquatico. L’inchiesta giudiziaria è affidata al pm Maria Carmela Polito che ha aperto un fascicolo all’indomani dei racconti degli ex operi e degli esposti presentati negli ultimi mesi dalla Cisl e dall’Adiconsum. Quella dell’Ideal Standard è la storia di una vera e propria “strage”: circa 60 sono stati gli ex operai dell’ex opificio della zona industriale deceduti, in meno di 20 anni, a causa di malattie tumorali. I loro colleghi hanno intrapreso, grazie al supporto degli avvocati Anna Amantea e Dante Stabile, un percorso dinanzi alla giustizia per vedersi riconosciuta l’esposizione all’amianto. Amianto che, stando ai racconti che gli stessi ex dipendenti hanno fatto a Cronache nel corso dei mesi, avrebbero toccato con le loro mani, oltre a respirarlo costantemente. Dopo la dismissione dell’impianto, i tanti dipendenti finiti in strada hanno avuto l’ingrato e pericoloso compito di interrare nelle varie vasche presenti nella struttura, il materiale di vario genere, tra cui proprio l’amianto, con una possibile contaminazione, dunque, del sito. Un compito toccato agli operai dal 2000 al 2004, quando si proceduto al completo smantellamento dell’opificio. Vasche che ancora oggi sono visibili. Secondo il racconto di alcuni dipendenti, l’amianto era certamente presente nelle strutture, nelle materie prime, ma anche in svariati materiali utilizzati per la produzione – cordoni di amianto, guanti, tute, grembiuli. Da allora, numerosi sono stati i dipendenti affetti da patologie afferenti l’apparato respiratorio e numerosi sono stati i decessi provocati da malattie tumorali. Ed in molti ora gridano alla giustizia. Da tempo gli ex operai lottano per ottenere un accertamento urgente dello stato dei luoghi per verificare quanto denunciato e per far definitivamente luce sulla vicenda prima che vengano spazzate via anche le ultime tracce.