I danni dei dazi sul villaggio globale - Le Cronache Attualità
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I danni dei dazi sul villaggio globale

I danni dei dazi sul villaggio globale

Salvatore Memoli

Ho sempre immaginato da ragazzo come poteva essere il mondo inteso come villaggio globale. Quando i nostri docenti nei licei ci spiegavano l’arrivo di un mondo nuovo e ci   assegnavano tra le tracce dei temi quello di parlare del mondo come villaggio globale, quelli della mia età dovevano fare uno sforzo d’immaginazione. Poi con gli anni abbiamo visto che le barriere potevano essere abbattute, le distanze annullate, le diversità integrate, con intelligenza e disponibilità.  Nella nebbia delle diverse informazioni su un mondo tanto vasto e ricco di culture, usi e costumi, tecnologie innovative, modalità vibranti della comunicazione, con nuove profondità di sentire, quelli della mia  età sapevano che era possibile integrarsi, aggiungere particolari, esperienze e capacità di sentire la società con diverse sfumature, per costruire questo villaggio globale. In fondo è vero che c’è stata una generazione che si è formata per incontrare il mondo. Le letture, gli approfondimenti culturali, i viaggi, l’informazione, per tanti giovani l’Erasmus, sono stati occasioni concrete per avvicinare le distanze, per creare prossimità. Per tante altre persone, già dalla fine dell’ottocento, l’emigrazione é stata una testimonianza importante d’integrazione e di convivenza. E, poi, i trasporti, marittimi ed aerei, penso all’entrata sulla scena del Concorde, aereo supersonico, che in poche ore univa Roma a New York, hanno dato la prova che il mondo diventava un altro, nuovo, migliore, capace di parlare uno stesso linguaggio, strutturato per migliorare la vita di tutti.
> Il villaggio globale lo abbiamo visto crescere, articolarsi, organizzarsi ed anche diventare plurale, capace di integrare le diverse realtà mondiali alle accoglienze più disparate.
> In tutti i settori, il mondo ha compiuto progressi, omologazioni che hanno permesso di garantire le cose che le persone si lasciavano dietro, in posti lontani, a diverse migliaia di chilometri.
> Il mondo non ha avuto paura d’integrarsi, di arricchirsi, di aggiungere cultura a cultura, tradizioni a tradizioni, particolari a particolari. La politica sembrava avere la capacità di disciplinare queste novità. Sulle autostrade dei mari e dei cieli, con le persone, hanno camminato le merci, i beni, le gastronomie, le produzioni industriali e artigianali, le culture, che ognuno di noi ha ritrovato in moltissimi paesi visitati, ad oriente ed occidente, a nord ed al sud, ad est ed ovest di tutti i continenti.
> Come si chiama questo camminare dei beni materiali? Che ruolo assumono nella definizione dell’attuale villaggio globale, i beni materiali ed immateriali che sono diventati patrimonio mondiale, beni consumati da tutti?
> Il mondo, oggi, é di tutti, nessuno può limitarlo e riconvertirlo in periferie, distanti ed inaccessibili.
> Per quelli della mia generazione, vissuti oltre sessanta anni, in un equilibrio mondiale che apriva i confini, abbatteva le diversità, mitigava disagi e svantaggi, non é facile pensare a nuovi mondi che si vogliono o debbono chiudersi. Peggio pensare ad un mondo che si richiude nei confini, ad un mondo che rinnega tutte le conquiste raggiunte. Le minacce che potrebbero alterare gli equilibri del villaggio globale, oggi si chiamano nuovi Dazi, Sovranismi, Protezionismo, isolazionismo, condanna dei sistemi d’integrazione commerciali, che diventano un limite alla sana crescita delle relazioni umane internazionali.
> Un mondo che si chiude é un mondo che dissotterra l’ascia delle diversità, che ripropone le divisioni, il razzismo e le separazioni.
> Ecco perché chi é cresciuto sentendo l’impegno dell’integrazione, con tutte le migliori proposizioni, non capisce e non accetta i Dazi del Governo di Trump e ne avverte il pericolo di una ricaduta negativa che danneggia il benessere del mondo, un tornare indietro che farà molto male.