I clan alzano il tiro contro l'imprenditore Lazzaro D’Auria - Le Cronache
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I clan alzano il tiro contro l’imprenditore Lazzaro D’Auria

I clan alzano il tiro contro l’imprenditore Lazzaro D’Auria

Prima i terreni coltivati, poi le pompe di irrigazione: ci sarebbe la mano della mafia foggiana dietro gli attentati contro le aziende dello scafatese Lazzaro D’Auria, imprenditore di 56 anni che vive sotto scorta da alcuni anni (2017) dopo aver denunciato una richiesta estorsiva da 200 mila euro da parte di uno dei clan della “Società Foggiana”, la mafia che opera in terra di Capitanata dove il 56enne lavora con le sue aziende agricole. Dopo l’incendio di domenica di decine di ettari di terreni coltivati a grano in località Incoronata di Foggia (decine di migliaia di euro di danni), il giorno successivo (sempre di notte) ignoti hanno dato fuoco ai tubi di plastica che servono ad irrigare i campi in località Palmoli a San Severo. “Lo hanno fatto per bloccare la coltivazione di pomodori nei nostri terreni”, dice l’imprenditore scafatese che in Capitanata ha sei aziende agricole che producono un fatturato pari a 40 milioni di euro. “Loro distruggono e noi ricostruiamo – aggiunge – Da prime stime l’ammontare dei danni si aggirerebbe intorno ai 50mila euro. Ricompreremo il materiale per continuare la coltivazione”, assicura. Ad accorgersi dell’incendio sono stati alcuni operai che si eramo recati in azienda, quando ormai il fuoco aveva distrutto i tubi di plastica. “Purtroppo nonostante ci fossero alcune abitazioni nella zona dove è divampato l’incendio, nessuno ha visto nulla. Nessuno ha chiamato carabinieri o vigili del fuoco”. Secondo D’Auria inoltre, “l’attività agricola è anche poco controllabile perché è difficile installare telecamere di sicurezza nei campi”. Intanto l’imprenditore sotto scorta teme che dietro questa recrudescenza possano celarsi ripercussioni per alcune sue dichiarazioni: “Non mi fermerò mai, continuerò a lavorare e a denunciare, avevo deciso di mollare tutto ma ho 400 famiglie sulle mie spalle”. Non più tardi di un mese fa ha anche accompagnato la famiglia Luciani di San Marco in Lamis (i fratelli Luciani, Aurelio e Luigi, sono due vittime innocenti di mafia uccisi durante un agguato teso al boss di Manfredonia Mario Luciano Romito e al cognato Matteo de Palma il 9 agosto del 2017) a testimoniare in un processo contro un pregiudicato locale. “Non so se anche questo episodio possa essere riconducibile a queste intimidazioni – dice il 56enne scafatese – Le mie aziende sono sane, pago regolarmente fornitori e operai. Vado d’accordo con tutti. I miei soli nemici solo loro (i mafiosi, ndr)”. La soluzione secondo D’Auria potrebbe essere una: “Riconoscere la mafiosità anche per reati come l’incendio doloso, taglio dei vigneti o taglio degli ulivi”. Ad agosto dello scorso anno fu dato a fuoco un capannone di una delle sue sei aziende agricole. Nella circostanza le telecamere di sicurezza immortalarono anche il presunto attentatore. Un incendio da oltre due milioni di euro di danni. Lo scafatese D’Auria nel foggiano è conosciuto anche per il suo grande coraggio: è stato l’unico imprenditore a costituirsi parte civile nel processo denominato “Decima Azione” contro la cosiddetta mafia locale denominata Società Foggiana. Parole di solidarietà per l’imprenditore dall’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti, di cui è amico da anni. “Caro Lazzaro sono orgoglioso di te, siamo in tanti ad esserlo. Da cittadino scafatese, da medico competente delle tue aziende perché la malavita è una montagna di e tu ci dai insegnamenti concreti quotidianamente per le azioni concrete che metti in campo”.