Secondo appuntamento, oggi, alle ore 20, per la VI edizione del Festival di Musica da Camera Santa Apollonia, con due trii del genio di Amburgo
Di OLGA CHIEFFI
Serata dedicata ai trii con pianoforte di Johannes Brahms, quella di domenica 2 giugno, alle ore 20, per la VI edizione del Festival di Musica da Camera Santa Apollonia, un evento istituzionalizzato del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci”, che anima il centro storico, ospite della Bottega San Lazzaro di Chiara Natella. Sarà un hommage al genio di Amburgo, del quale ascolteremo l’op. 40, in cui il corno offre un impasto timbrico suggestivo e profondamente romantico e l’op.8, il primo trio, di una densità sinfonica che dovevano poi rimanere tratti costitutivi ed emblematici di tutta la cameristica del maestro di Amburgo. Ad inaugurare la serata saranno la pianista Giovanna Basile e la violinista Sara Rispoli, con Luca Carrano al corno, che si cimenteranno con il Trio in Mi bemolle maggiore op. 40 scritto da Johannes Brahms nel 1865 quando aveva da poco superato i trent’anni. Il corno – con il pianoforte e il violoncello – è fra gli strumenti che Brahms pratica da ragazzo e impara dal padre e proprio al corno, allo strumento più legato al mondo della caccia, dei boschi, Brahms ha dedicato uno dei suoi più bei capolavori cameristici, in una combinazione strumentale rarissima esperita da Czerny, Dussek, Koechlin e – in omaggio al centocinquantenario della nascita di Brahms – da Ligeti. Brahms lo scrive a Lichtental – soggiorno estivo vicino a Baden-Baden – nel maggio 1865 e l’ispirazione del primo tema – così rivela Brahms all’amico Dietrich – gli viene proprio tra i boschi e i monti della Foresta Nera. Ma ben altra esperienza umana entra tragicamente nella composizione del trio, dell’elegiaco Adagio mesto: la morte della madre Johanna Henrika Christiana Brahms nata Nissen. Queste due esperienze compaiono quasi emblematicamente nelle citazioni congiunte del corale “Wer nun den lieben Gott laesst walten” e del canto popolare “Dort in den Weiden steht ein Haus”. Il trio è stato scritto e concepito per il Waldhorn, il corno da caccia o corno naturale: nella pratica strumentale era stato ormai soppiantato dal più moderno corno a pistoni (brevettato nel 1818) che era entrato nella vita concertistica verso il 1849. Di questa scelta Brahms era ben consapevole e più volte espresse fermamente questa volontà: già a Dietrich alla fine del 1862, poi a Simrock nel 1866 (“il pezzo deveessere eseguito su un semplice corno da caccia”) e nel 1884 quando pretese che iltitolo riportasse precisamente “Waldhorn” e non semplicemente “Horn”. Il Trio in si maggiore op. 8, finito di comporre nel 1854, è la prima vera composizione cameristica di Brahms, che una trentina di anni dopo la revisionò radicalmente durante un suo fecondo periodo creativo. Brahms scriveva a Clara Schumann a tal proposito: “Non puoi immaginare con quale fanciullaggine ho trascorso i bei giorni estivi. Ho riscritto il mio Trio in si maggiore e posso chiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non sarà più rozzo come prima – ma sarà migliore?”. Sarà proprio la seconda versione ad essere eseguita da Lucia Giugliano al pianoforte, Sara Rispoli al violino ed Emanuele D’Andria al violoncello. Nella nuova versione non solo apparivano risolti alcuni problemi di squilibrio formale e accorciate sezioni ridondanti, ma si appianavano anche certe asperità di stile Sturm und Drang e si smorzava lo slancio emotivo. Il Trio non sembrava più opera di ‘Johannes Kreisler Junior’; d’altronde Brahms aveva abbandonato quello pseudonimo di ispirazione romantica e schumanniana ormai da molto tempo. Le novità più profonde della nuova versione si trovano negli sviluppi, che divennero più agili e stringenti: il seducente materiale tematico restò per lo più intatto. L’Allegro con brio, ad esempio, conserva il suo tema iniziale, dalla liricità struggente, ma conta su un nuovo secondo tema: aumentando il contrasto tra le due idee musicali il compositore ottiene una tensione maggiore. Lo Scherzo è di una leggerezza che ricorda le pagine fatate di Mendelssohn: alla scrittura in punta di dita dell’episodio iniziale si contrappone la morbida e distesa cantabilità del Trio centrale. Se lo Scherzo rimase sostanzialmente invariato, l’Adagio subì dei cambiamenti decisivi che fecero sbocciare tutta la sua bellezza: qui non ci sono opposizioni o contrasti, la musica procede estatica come una preghiera serale.