di Erika Noschese
Il Superbonus 110%, allo stato attuale, mette seriamente in crisi le aziende. A chiedere risposte certe e immediate al governo nazionale è Angelo Grimaldi, presidente dell’Unaco, unione nazionale dei Costruttori. In attesa di una soluzione legislativa, la priorità del Governo è consentire il completamento dei lavori già iniziati per due motivi principali: evitare il fallimento delle imprese coinvolte (33mila secondo i calcoli degli artigiani del Cna), con la conseguente perdita di posti di lavoro, e scongiurare spiacevoli situazioni per i contribuenti nel bel mezzo di una ristrutturazione. Nato per incentivare i cittadini a rendere le proprie case più ecologiche e sicure, il Superbonus si è rivelata una soluzione difficile da gestire e interpretare. La prima causa del caos è lo sforamento di oltre 400 milioni di euro del plafond originario, stabilito in 33,3 miliardi. Oltre ai rischi per le aziende, legati all’impossibilità di cedere crediti d’imposta per circa 2,6 miliardi di euro, anche i contribuenti potrebbero trovarsi nei guai per eventuali esborsi salati da saldare per opere lasciate a metà. Dal 1° luglio verranno applicati infatti costi più alti. I crediti per i destinatari finali saranno essenzialmente “svalutati”, col risultato che chi cede ad esempio un credito da 10mila euro se ne vedrà rimborsare meno di 9mila dunque c’è un rischio concreto di lasciare incompiuti i lavori già avviati. Le banche si sono ritrovate sommerse dalle numerosissime richieste di cessioni di crediti edilizi, denunciando l’impossibilità di compensarli. La causa principale di questa situazione è il “vincolo di compensazione” che obbliga gli operatori ad avere crediti fiscali, come quelli edilizi, non superiori al livello di imposte e contributi versati dalla banca. Diversi istituti affermano di aver raggiunto questo limite o di stare per raggiungerlo. L’acquisizione dei crediti, già resa complicata nei mesi scorsi dai diversi limiti imposti alle cessioni multiple, si sta dunque bloccando nuovamente Superbonus, quali novità? Sta producendo effetti positivi? “In questo momento non possiamo parlare numeri alla mano. L’idea era buona ma sta naufragando perché non c’è possibilità di cessione, è diventato molto complicato metterla in atto; questo sta causando molte difficoltà agli operatori ma alla fine ai committenti che sono sempre i proprietari di appartamenti o a chi ha un diritto su di essi. La grande opportunità si è trasformato in un grande problema per l’Italia e gli operatori. Il concetto era buono ma c’è stato un boomerang molto negativo”.Ecco i bonus e quindi non solo il 100%, ma anche il 50 e l’80 e così via, come hanno cambiato la vita di una società edile, in questo caso?“Prima del 110% non c’è stata alcuna modifica, anche perché erano appannaggio di chi doveva fare i lavori immediati mentre il 110% ha dato l’opportunità anche a chi non aveva una parte complementare, il 50% di propria finanza ad esempio, di potersi mettere in gioco. E questo ha creato un forte stress della domanda e ha creato un innalzamento dei prezzi, poi si è messa la scellerata guerra che sta conducendo Putin e questo non aiuta. Oltre alla effettiva disponibilità dei materiali e dunque dei prezzi che aumentano di conseguenza quando la domanda è data credo ci sia anche tanta speculazione edilizia allargata, sta diventando poco controllabile la questione prezzi, è un momento veramente molto delicato”. Una società come riesce a far fronte alla questione relativa alla cessione dei crediti? Come si fa poi ad andare avanti? “Questo è molto complicato, perché tutto dipende dalla forza che ha mentre per chi, come i piccoli artigiani, e chi ha poca liquidità perché partito da poco si trova molto in difficoltà perché la norma era inaffidabile già nel suo disegno, nel senso che era stata manipolata, o meglio è stata modificata ben 15 volte dalla sua emanazione, con il decreto Rilancio però dii fatto ha creato un grosso squilibrio tra domanda e offerta della filiera dell’edilizia e di conseguenza ha creato dei mostri, nel senso che ci sono aziende che hanno accettato la proposta ma non possono accedere alla misura rispetto alla prima emanazione della norma, modificata facendo in modo che si potesse realizzare tutto con le cessioni multiple. Adesso questo è venuto meno, e da questo si è bloccata tutto il processo relativo alla cessione”. Più o meno quando si auspica una riapertura del blocco delle cessioni? “Ci sono degli emendamenti che, in questi giorni, devono essere discussi in Parlamento e che in qualche modo tentano di salvare quanto fatto finora. Però io la prospettiva non la vedo, credo che il governo debba avere il coraggio di dire come stanno le cose, ma deve farlo con una norma ben precisa: i bonus arrivano fino a una certa data e non illudere le aziende che ci hanno creduto nella norma. Secondo me se il governo ha deciso la norma deve ridimensionare lo dica chiaramente così che le aziende possano correre ai ripari; rispetto a quanto si è fatto prima deve risolvere il problema e fare che in qualche modo ci siano gli emendamenti incrociati, trasversali di tutti i partiti che mirano a salvaguardare il passato e dare una direzione nuova a quanto si farà da oggi in poi. Il mercato è cambiato, in modo negativo perché, tranne durante la prima impennata di domanda adesso c’è una maggioranza sofferenza che mette in crisi la maggior parte delle aziende che hanno creduto in questa norma”. Questa misura può aver portato vantaggi alle ditte o alle aziende? “Sotto l’aspetto dell’esperienza sicuramente c’è stato un beneficio per le aziende perché hanno lavorato tantissimo e hanno fatto tesoro di questa esperienza ma in minima parte. Quello che è successo è che sono nate grandi aziende che prima non c’erano e hanno approcciato al mondo delle imprese ma ora sono in difficoltà, soprattutto rispetto a questo tipo di norma. Il Superbonus, per quanto fatto, secondo me non è andato bene ma anzi ha creato grossi problemi alle aziende. Il governo dovrebbe avere un maggiore coraggio nel dire agli operatori quali sono le loro intenzioni e come pensano di andare avanti e in che modo. Le aziende così come gli istituti di credito che dovrebbero essere l’anello finale che deve mettere in moto la catena e quindi stabilire chi acquisisce un nostro credito deve avere un orizzonte temporale maggiore. Noi l’abbiamo detto già un anno fa, credo possa piacere che può piacere; devono ampliare l’orizzonte temporale dei lavori: gli interventi che si devono fare in dieci 15 anni, non si possono poi realizzare in soli due anni, questo ha causato un uno stress della domanda, chiaramente un incremento dei prezzi poi la guerra ha fatto il resto e oggi le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti”.