Tutto è partito con una massiccia mobilitazione sui social network più popolari, come Facebook e Twitter, che per settimane sono stati letteralmente tempestati da foto e hastag pubblicati da tantissimi avvocati che hanno aderito alla campagna #iononmicancello. A dare il via alla protesta sono stati infatti gli avvocati, dopo essersi visti recapitare una lettera della Cassa forense, l’ente previdenziale di categoria, contenente tutta una serie di nuove istruzioni. Al pari di un ultimatum, è stato infatti prescritto che qualsiasi legale avesse non solo l’obbligo di registrarsi alla Cassa ma, a partire dal giorno d’iscrizione all’albo degli avvocati, di versare un contributo minimo. Questo significava che chiunque non avesse pagato una cifra pari a 4 mila euro annui, venisse immediatamente cancellato sia dalla Cassa che dall’ Albo. A rischio vi sarebbero circa 10 mila giovani professionisti. Ma tantissimi sono coloro, in particolar modo avvocati in erba, che non vogliono dire addio alla propria professione, perdere il proprio status dopo innumerevoli sacrifici, o soprattutto rimetterci di tasca propria una cifra così esosa. La protesta, impazzata sui social, si è ben presto diffusa a macchia d’olio vedendo di giorno in giorno aumentare il numero dei propri aderenti. Dal web il malcontento si è poi spostato alla piazza con una manifestazione che si è tenuta nella mattinata di ieri a Roma davanti al palazzo della Cassazione. Una manifestazione che l’ Mga (mobilitazione generale avvocati) ha aperto anche tutti gli altri professionisti e lavoratori autonomi dotati di partita Iva ed iscritti ad un ordine professionale, o non. Ed è così che in piazza Cavour a Roma si sono ritrovati tutti: affianco agli avvocati c’erano gli archivisti, i farmacisti, le guide turistiche, gli archeologi, i bibliotecari, l’associazione dei freelance, le associazioni forensi, gli studenti e i sindacati di base. “L’obiettivo primario di questa protesta- spiega l’avvocato Valentina Restaino di Mga- è quello di chiedere una previdenza ed una fiscalità che siano eque e sostenibili. Una causa condivisa non solo da noi avvocati ma anche da tantissime altre categorie di lavoratori autonomi professionisti, ordinisti e non, precari e freelance. L’equità fiscale e previdenziale è infatti un problema di tutti i lavoratori autonomi che vengono puntualmente strozzati dalle loro Casse di previdenza private o dall’Inps. Per quanto riguarda la nostra categoria, coloro che sono iscritti alla Cassa dovranno pagare un minimo contributivo fisso di 3.800 euro annui. Questo rappresenta per circa il 40% degli avvocati italiani, con un reddito compreso tra 0 e 15.000 euro, un vero e proprio disastro economico. Per questo noi ci battiamo: per una previdenza compatibile con la vita”. Francesca Cavaliere
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