Giulia Lepore: la gioia nel canto - Le Cronache Spettacolo e Cultura

Convince lo splendido e generoso soprano protagonista insieme all’Ensemble Belle Époque di Paolo Scibilia, ospite del penultimo appuntamento di “San Michele in musica” rassegna firmata da Francesco D’Arcangelo. Bis dedicato al tenore improvvisamente scomparso Nazareno Darzillo

Di Olga Chieffi

Un canto vibrante, luminoso, di raggiante purezza, e direi di gioia, è stato assoluto protagonista del penultimo appuntamento di “San Michele in musica”, evento clou dell’autunno di Salerno Classica, firmato da Francesco D’Arcangelo. Bel pubblico nella sala del Cenacolo del complesso di San Michele, a cominciare dal Presidente della Fondazione Carisal, Domenico Credendino, per ascoltare la voce del giovane soprano Giulia Lepore e dell’Ensemble Belle Époque, diretto da Paolo Scibilia, con lo stesso maestro al pianoforte, Armand Priftuli e Domenico Mancino al violino, Vladimir Kocaqi al violoncello, Francesco Abate al clarinetto e Ottavio Gaudiano al contrabbasso. Il programma, dedicato a Giacomo Puccini e dintorni, nell’anno del centenario dalla scomparsa, ha alternato brani strumentali quali trascrizioni dalla Madama Butterfly, sia del coro a bocca chiusa, nonché di “Un bel dì vedremo” quell’aria di morte e speranza, che oltre al fugato iniziale anticipa a chiare lettere, anzi note, la tragedia finale, sino alla musica originale da Cafè-chantants, melodie di raro ascolto, che ormai da tempo, il Maestro Paolo Scibilia ricerca e propone. Pagine che caratterizzarono l’inizio del secolo breve, la Belle Époque, in cui il caffè-concerto diventa un modo di vivere la vita in maniera spensierata e quasi frivola, tornano il senso del divertimento, dell’allegria, della spensieratezza e del dar spettacolo e del fare musica, che si mescolano, dando la possibilità, a chi si ferma ad osservare, di immergersi nell’arte in maniera completa e di partecipare, facendosi trascinare dall’intera performance. Forse, le sedie della platea avrebbero dovuto essere sostituite dai tavolini bianchi con le sedie intorno, eleganti, di classe, per creare quell’ atmosfera un po’ retrò nello stile, ma al tempo stesso moderna e assolutamente contemporanea, ciò che è avvenuto al Circolo Canottieri Irno, ove prima della cena dedicata alle tradizioni culinarie di Giacomo Puccini, con i fegatini alla toscana, i fagioli all’uccelletto, nella sua ricetta di famiglia, è stato portato alla ribalta il mezza coda del circolo, per dar modo ad una delle promesse del canto nazionale, Giulia Lepore, in duo con Paolo Scibilia, di introdurre generosamente il desco dedicato, con il valzer di Musetta. Poco prima, in concerto, abbiamo ascoltato le vere melodie da Caffè, a cominciare da Lolita di Arturo Buzzi-Peccia, una serenata spagnuola in tempo di bolero, dedicata ad Enrico Caruso, quindi, La poupée valsante di Eda Poldini, una miniatura del compositore ungherese, tratto da Marionettes, una pagina che ebbe l’attenzione di Fritz Kreisler e la czardas Topsy di Vincenzo Billi con il valzer “Vita Palermitana” di Walter Graziani, pagine in cui l’ensemble è specializzata. I brani Sono stati resi con un suono caldo e grande tecnica in particolare dal I violino e dal cello, che non hanno saputo resistere al sorriso e al languore che in questo tipo di musica non sono peccato, a patto che vengano tenuti sotto controllo con la cura costante del bel suono e della frase, introducendoci ad un luogo di delizia dove riposarsi e rinfrancarsi, con sensibilità timbrica ed esemplare trasparenza di concertazione, da parte di Paolo Scibilia. Giulia Lepore, soprano ospite dell’ensemble, ha spontaneità d’emissione che proviene da una già solida base tecnica o quanto meno che si allea ad essa. Che poi questa tecnica sia stata istintivamente acquisita, come certe cose fanno credere, o attraverso l’insegnamento lo studio, la riflessione personale, l’esercizio e la forza di volontà, come altre inducono a pensare e come con più forte probabilità dev’essere, è un diverso problema. Giulia conserva ai nostri occhi quell’aspetto della toccata dal dono, al quale tutto è, per grazia innata, concesso. Ars est celare artem. Sin dalla prima aria con cui ha esordito, “O mio babbino caro” la sua apparente facilità è stata la riprova che anche l’interpretazione musicale, non solo il mero atto del cantare, acquisisce nella Lepore, naturalezza e verità. Nel canto, il giusto e naturale fraseggio musicale nasce soprattutto da fattori fisici di respirazione e di emissione della voce; così come la melodia vocale, in tutti i grandi compositori, si genera intimamente, legata alla tenuta di fiato, all’inspirazione e all’espirazione: ecco perché le interpretazioni della nostra figlia d’arte finiscono per essere spesso un bello specchio di gusto, intendendosi con questo la retta pronuncia della frase musicale. Anche qui, occorre non farsi soverchiare, nel giudizio, dal particolare: è fin troppo facile mettere in evidenza qualche “corona” e qualche indugio di troppo che tendono a spezzare il nucleo della frase musicale, cosa che in qualche acuto avremmo gradito, maggiormente, con qualche “forchetta” maggiormente accennata e in filato. Una vera gemma è risultata l’esecuzione dell’arietta di Juliette “Jeux de vivre”, di Gounod, come anche “Il bacio” di Arditi, uno strabiliante miracolo di quadratura del circolo rappresentato dall’ideale compromesso effettuato dal soprano, fra l’esigenza di delineare plasticamente le melodie, in quanto tali, e quella di articolare in modo nitido ed espressivo le parole cui esse si sposano. Nell’intero florilegio di arie, che Giulia ha inteso concludere con ‘A vucchella del binomio abruzzese Tosti-D’Annunzio, la Lepore ha offerto un suono luminoso, compatto, vibrante ed equilibrato, al di là dell’altezza e dell’intensità. Bis con speciale dedica il suo, quel “Tace il labbro”, che visto il bel tedesco di Meine Lippen, sie küssen so heiß, dalla Giuditta di Lehàr avrebbe potuto comodamente essere anche Lippen schweigen. Un “Tace il labbro” che Giulia ha cantato da sola non in duetto, dedicandolo a Nazareno Darzillo, il tenore napoletano strappato da qualche giorno alla vita, al quale la accomuna la gioia del canto, con grande emozione, trasmessa in pieno all’uditorio. Applausi e bis stavolta strumentale con Flirt primaverile di Martelli.