Giacomo Puccini e Duke Ellington: “Dammi i colori!” - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Giacomo Puccini e Duke Ellington: “Dammi i colori!”

Giacomo Puccini e Duke Ellington: “Dammi i colori!”

Di Olga Chieffi

“Dammi i colori!” fa cantare Giacomo Puccini al Mario Cavaradossi della sua Tosca rinnovando, opera dopo opera, il suo travolgente lirismo, in un crescendo di quella “melodia puttana”, come definiva il segno orizzontale pucciniano, Paolo Isotta; Duke Ellington da ragazzo voleva fare il pittore, e ci è riuscito con la sua orchestra, che utilizzò come una meravigliosa tavolozza di colori. Questi i due giganti della musica che segneranno il 2024: il mondo celebrerà il centenario della morte di Giacomo Puccini e il cinquantenario di quella di Edward Kennedy Ellington, due personalità incendiarie, che hanno fatto saltare schemi con le loro intuizioni musicali, che hanno tantissime affinità, tra cui quella di essere sempre sull’onda sonora giusta per le platee di ogni tempo. La fluidità inarrestabile, il territorio sonoro aperto, accomuna i due compositori, il senso di apertura verso il nuovo, (Igor Stravinskij andò ad ascoltare la Duke Ellington orchestra), quella straordinaria originalità e fantasia timbrica, risultato della distribuzione e fusione strategica di sonorità uniche e inimitabili, che hanno consentito ad entrambi di rimettere in discussione le tradizionali gerarchie orchestrali e di inventare un nuovo linguaggio. “Da venticinque secoli la cultura occidentale cerca di guardare il mondo. Non ha capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta” (Attali, 1977). I paesaggi sonori di Giacomo Puccini sono noti: le campane in Tosca, la cornetta dell’automobile e la sirena nel Tabarro, la creazione di sfere sonore della lontananza in Madama Butterfly, La fanciulla del West e Turandot; la gestione spaziale delle sonorità di voci e strumenti sulle e dietro le scene; per Ellington, invece, il mistero del suo famoso “effect” è chiuso dentro di lui, come per Calaf, anche se lui stesso ha provveduto qua e là a porgerci quella chiave: in grado di comporre una partitura per orchestra standosene seduto in mezzo a un prato, Duke era anche dotato per la pittura, tant’è che da ragazzo aveva vinto una borsa di studio per una scuola di disegno industriale. In molte sue composizioni ricorrono titoli che contengono colori: e non solo “giallo”, “blu” o “verde” come direbbe chiunque di noi, ma “seppia” o “magenta”, nonché fu anche straordinario prosatore, ecco che in molti casi Ellington ha composto avendo in mente un riferimento extramusicale. Per entrambi i compositori quindi, la ricerca coloristica non può essere disgiunta da quella formale: l’alternanza di temi, sezioni, l’uso di modulazioni, la strategia narrativa sottesa ad ogni struttura sono sostanziati anzitutto dalla scelta dei timbri: l’articolazione drammatica della  loro musica si modula sul piano delle voci, di quelle strumentali dei solisti e sull’alchimia sonora delle combinazioni orchestrali, con lo schizzo, per entrambi, dei paesaggi sonori più variegati e sorprendenti di ogni tempo. Per ultimo lasciamo i loro ritratti di donna: per Giacomo, Manon, frivola, superficiale, opportunista, passione assoluta, abbandono alle sensazioni amorose senza né limiti né regole, Mimì la costante fiducia nell’amore, unica e totale consolazione che l’accompagna sino alla morte, Tosca, l’unica donna ammessa nell’opera, che ne occupa con prepotenza ogni spazio, in ogni momento, sempre da padrona assoluta, amante focosa ed imperiosa che non esita a smaniare in chiesa esibendosi in una violenta scena di gelosia, la stessa creatura che, come una pia fanciulla, s’inginocchia devotamente dinanzi alla Vergine e le offre dei fiori, è la stessa artista che si umilia come una donnicciola qualsiasi quando si prosterna disperata ai piedi dell’aguzzino, implorando pietà per il suo uomo, ed è la stessa creatura che, brandisce un coltellaccio da cucina e trucida selvaggiamente il boia che la vuole sua in cambio della salvezza dell’amante. E ancora, Suor Angelica, madre per sempre, sino al gesto estremo, come Madama Butterfly, il sogno di un amore assoluto, che vince ogni dubbio, fragile farfalla condotta a morte dal tradimento dell’ingannevole amante, anima dalla struggente drammaticità, che insegue un sogno così lontano così a lungo e “Frozen” Turandot, che si nega alle gioie dell’amore, prigioniera di se stessa, ossessiva e misteriosa. Ed Ellington? La Donna è l’ispiratrice di buona parte delle sue ballades: è la “Black Beauty” dell’orgoglio razziale, l’inattingibile vergine di “The River”, è Circe, Salomè, Sentimental Lady, Lady Mac, Night Creature e sopra tutte, Sophisticated Lady. Il Duca ha saputo sapientemente schizzare l’universo femminile anche attraverso i titoli dei suoi pezzi, come? E’ lui stesso a svelarcelo: proprio in “Music is my Mistress”, la sua biografia: “Prima si suona il tema, poi ci si guarda attorno per sapere il nome della ragazza che sta in piedi dalla parte delle note basse del pianoforte. Lì c’è sempre una ragazza”.

Articolo Precedente

Articolo Successivo