Gentile Direttore,
oltre che per l’immeritato rilievo dato a una mia modestissima opinione, vorrei soprattutto ringraziarla per la definizione, davvero gustosa, che ha voluto affibbiarmi: “cafone ‘e Napule”. Qualora mi venisse in mente, uscendo di senno, di scrivere la mia autobiografia, la terrei presente senz’altro: essendo io – ha proprio ragione – un cafone.
Tuttavia, a pensarci meglio e per dovere di quella cronaca che campeggia nella sua testata, forse il prosieguo del sintagma andrebbe quanto meno integrato, se non emendato.Nasco, è vero, a San Giuseppe Vesuviano. Ma, dei miei cinquantacinque anni di vita, ben cinquantadue li ho trascorsi ininterrottamente a Scafati, di cui sono cittadino e che è il primo comune, venendo da nord, della provincia di Salerno. Mia madre, con tutta la sua famiglia è di Sarno. A Sarno ho frequentato il liceo ginnasio ed è nata mia figlia, iscritta all’Ordine del medici di Salerno. Di Salerno sono mia moglie e buona parte della sua famiglia. Credo dunque di essere un cafone atipico e anfibio, posto come sono in una terra di mezzo tra Salerno e Napoli. Sarei lieto di essere un radical chic. Ma anche in questo caso l’ascrizione al genus suona fin troppo generosa. Mio nonno paterno, cafone come me, non arrivò alla seconda elementare. Con la seconda guerra mondiale partì per il fronte greco e albanese. e al ritorno fu costretto a emigrare in Venezuela. Rientrò in Italia più povero di com’era partito. Mio padre fu il primo e unico laureato della famiglia. Lato materno: nonno ferroviere, nonna casalinga, con dieci figli. Ci sono stati giorni in cui l’unica cena di nonno Giuseppe si riduceva a un bicchiere d’acqua. Quanto a me, sono figlio di un professore di francese e di una casalinga. Molto radical, il quadro familiare; per niente chic, come lei, assai opportunamente, rileva. Mi fermo, ritenendo di averle fornito elementi di cronaca utili a una biografia che un Carneade quale lo scrivente non merita certo. Sul resto sorvolo, essendoci documentazioni ufficiali donde evincere quanto io costi e sia costato agli organizzatori del festival.Non mi sento in dovere di rimarcare il mio amore per Salerno e i salernitani: è in re ipsa e non richiede di essere dichiarato ulteriormente. Peraltro equivarrebbe a dichiarare amore a una parte cospicua, la migliore, di me stesso. E sarebbe inelegante, non trova?Credo che la cultura debba costruire ponti e non innalzare muri. E dove, poi, questi muri, muniti di regolare check point? Tra Pompei e Scafati? Palma Campania e Sarno? Poggiomarino e Striano? Come vede, da cafone quale sono, conosco bene la topografia.
Sono certo che condividerà questa mia opinione. Il localismo e lo spirito di fazione disuniscono il corpo civico.
Ancora grazie per l’onore della prima pagina, la saluto con viva cordialità,
Gennaro Carillo