Gala Puccini: very “hot” concert - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Gala Puccini: very “hot” concert

Gala Puccini: very “hot” concert

In un teatro Verdi bollente tra stucchi, velluti e frac, si è celebrata la Festa della musica. Parterre de rois per applaudire il successo personale del Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli e del baritono Gezim Myshketa ritornato da par suo al massimo cittadino, insieme al tenore Vincenzo Costanzo e alle “debuttanti” sulla non facile piazza salernitana Eva Golemi e Alessia Panza

 

Di Olga Chieffi

Allerta meteo e ondate di calore nella quattro giorni di prove ridotte all’osso per la grande Festa della musica, nella incantevole cornice del Teatro Verdi, una produzione italo-albanese, con i maestri professionisti di Tirana in trasferta a Salerno, al seguito del loro direttore artistico Jacopo Sipari di Pesscasseroli e i nostri strumentisti in erba che da due anni s’imbarcano per fare l’esperienza all’estero presso i Teatri Kombetar i Operas, Baletit dhe Ansamblit Popullor, della Sovrintendente Abigeila Voshtina. Sogni realizzati dal direttore Sipari, che si è inventato queste collaborazioni, e che ha inteso allestire un programma monografico dedicato al suo amato Giacomo Puccini, affidato ai soprano Eva Golemi e Alessia Panza, al tenore Vincenzo Costanzo e al baritono Gezim Myshketa. Autorità civili cittadine, il sindaco, alti gradi del Cnam, pubblico eterogeneo e sventagliante al Verdi, teatro ottocentesco, senza aria condizionata, loquela tronfia, emozionata e sciolta da parte dei latori dei saluti istituzionali, la magia delle sette note della music-storyteller Concita De Luca, dinanzi alle telecamere dello streaming. Apertura con la “Tregenda” dalle Villi, esordio pucciniano e approccio dinamico ed energico del direttore, una pagina che è una lezione di mixology tra varietà e concisione di un materiale quasi berlioziano, la cui caratteristica è il frastagliamento della dinamica, dei colori timbrici delle sezioni e del vertiginoso alternarsi dei modi d’attacco del suono, al quale si è dovuto, in parte, rinunciare per “evaporazione” di pece e maestri. Terzetto di sortita sempre dalle Villi, per il giovanissimo soprano Alessia Panza, allieva di Anna Pirozzi, dagli ottimi “numeri” per una brillante carriera iniziata col clarinetto, per il tenore Vincenzo Costanzo, che in due giorni ha divorato miglia di rotaia per accontentare il Maestro Sipari a Salerno e PierLuigi Pizzi al Festival Puccini, il quale gli ha affidato le Willis ed Edgar per la serata inaugurale della LXX edizione, nonché il grande baritono Gezim Myshketa ben conosciuto e applaudito  Salerno per due super produzioni, il famoso Don Giovanni “delle sette sedie” datato 2009 e “La Forza del destino” 2016, in cui fu un consapevole Fra’Melitone, diretto da Daniel Oren. Per loro  “Angiol di Dio”, il finale del I atto da le Villi, con un coro, purtroppo senza spessore, con gli addetti alla produzione che “han tagliato corta la coda” per dirla con Bohème, indice di ignoranza musicale e alcun rispetto della partitura. L’esordio del soprano albanese Eva Golemi è avvenuto in duo con Vincenzo Costanzo nel duetto d’amore del primo atto di Butterfly “Viene la sera…”. Voci diverse quella di Alessia ed Eva, due soprano dallo stesso repertorio, bel rischio assunto dalla produzione che avrebbe dovuto prevedere l’invito per un mezzosoprano, ma che hanno saputo dividersi i ruoli alla perfezione. Eva Golemi è conscia dei dettami delle armonie che la carezzano del Ripudio del fugato, dell’accordo di quinta aumentata e dell’intervallo di tritono. Lei tenta filati, rossori, slanci, sul filo della grandissima esperienza di teatro, Vincenzo Costanzo, vocalmente messo a “nudo” si è ben calato nel ruolo di Pinkerton, provocando un positivo effetto domino anche in orchestra. Madama Butterfly ha continuato con  Vincenzo Costanzo con il cantabile “Addio, fiorito asil”,  un omaggio alla scuola italiana, frutto della maturazione del tempo, della conoscenza e della sensibilità del suo interprete. Il filo della voce della Golemi è, quindi, giunto fino a noi singolarmente commosso sia nel “Vogliatemi bene di un bene piccolino”, nel duetto, sia in “Un bel dì vedremo….” di una lontananza che strazia, specchio di una grazia né fragile né stupita, come lo è stato anche in “Senza mamma”, da Suor Angelica, mentre l’intenzione di Jacopo Sipari, certo si avvia verso la tormentata passionalità oreniana, ma non in questa serata impossibile. Alessia Panza è una Mimì d’impatto con un bacio d’aprile “a schiocco”, potente, che per apportare l’intensa, semplice ma tutt’altro che semplicistica umanità ragione ideale del personaggio, vuol però, essere sottolineata da un canto di raggiante purezza, costellato da delle splendide note filate. La Panza ha fatto bene in Tosca e, in particolare, nel duetto del primo atto, con un Costanzo contenuto, nel primaverile impeto virile, gli ardori, la foga, e lei che, purtroppo, non può sfuggire ai confronti con le divine, donando “velluto”, esclusivamente nel “Vissi d’arte”, strappapplausi, con sermoncino ispirato del Maestro Sipari, riferito all’evento in corso. Ed ecco Gezim Myshketa, prima perfetto falso Buoso nella cosiddetta aria della cappellina dallo Schicchi, marcetta quasi rotiana, ironica, grottescamente convenzionale, con caratteri ben sottolineati dal baritono. Ed eccolo, poi, in scena quale Scarpia, il Barone, la sua apparizione finale, per interpretare quanto di più fine il linguaggio musicale pucciniano abbia coniato in questa partitura, ma anche quanto di più elaborato sotto il profilo drammatico, che, grazie ad uno sviluppo di alta qualità, l’esperienza di Myshketa ha convincentemente fatto rivivere, nel Te Deum, con un coro, purtroppo non certo lirico, di effetto povero, ma che pur è riuscito nell’affatto semplice intento, allestito dal Maestro Marco Ozbic.  Merito anche alla cassa “parlante”, affidata a Salvatore Di Gregorio, ai piatti di Carmine Landi e alla sezione ottoni che schizzano il vero protagonista dell’opera dall’inizio alla fine. Prima del  “E lucevan le stelle”, che ha chiuso la serata, il lungo percorso pucciniano è passato per Manon Lescaut con il tenore impegnato nella romanza “Donna non vidi mai”, il Des Grieux, uno dei ruoli più difficili del repertorio tenorile che chiede una voce da lirico-spinto, ma in alcuni momenti anche un timbro dolce, da lirico, caratteristica che non manca a Vincenzo Costanzo e l’intermezzo, dove la melodia è riuscita a farsi teatro, sotto i riflettori, tra violoncello, la voce umana della viola, il flauto: il deserto si avvicina il destino ineluttabile di Manon e Des Grieux, per questi due amanti si tratta di qualcosa di fisico e metafisico, una condizione naturale, al tempo stesso estetica, come elemento di unione sulla scena, ma anche interiore, al contrario della pagina musicale ricca di mille colori e sfumature, che abbiamo in parte percepito.  Cesello del suono del clarinetto di Elton Katroschi e un Vincenzo Costanzo, che ha offerto alla voce quella ingenua consapevolezza, senza però eccessiva partecipazione, che la bellezza e gli amori celebreranno un forzato trionfo davanti al plotone di esecuzione. Applausi per tutti e in particolare per i legni salernitani tutti ai secondi leggii, dal flauto di Mario Montani al talentuoso oboe di Sebastiano Scorpio e il corno inglese di Pietro Avallone, che hanno onorato il magistero italiano dei loro strumenti, in felice e ferace “compromesso” con gli amici d’Albania.

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