di Giovanni Falci
A volte sembra che il destino presenti il conto nella vita delle persone. È quanto è accaduto oggi all’On.le Gianfranco Fini. L’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, 72 anni, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Roma a 2 anni e 8 mesi di reclusione nel processo su un’ampia vicenda giudiziaria conosciuta come “caso Tulliani”. Ora è chiaro che io sono troppo avvocato per non ricordare a tutti il principio della presunzione di non colpevolezza che assiste, a mente dell’art. 27 co. 2, della Costituzione, qualsiasi imputato fino alla sentenza definitiva di condanna. Così come mi auguro che Fini possa dimostrare nei successivi gradi del giudizio, la sua completa estraneità ai fatti che gli vengono contestati. Per intenderci, io non appartengo a quella categoria di persone che parlano delle condanne con il sorrisetto sulle labbra e con piacere (cfr. Travaglio); io penso che una condanna è un fatto traumatico per il quale non c’è niente da rallegrarsi o soddisfarsi. Inoltre io ritengo che una sentenza giudichi un fatto e non una persona per cui anche se diventasse definitiva questa condanna a carico di Fini certamente non potrebbe azzerare il valore politico di una persona che ha ricoperto importanti cariche dello Stato. Fatta questa premessa, però, non posso non sottolineare che oggi, l’on.le Fini è tranquillo di non andare in carcere a scontare la pena che dovesse diventare definitiva, grazie alla “legge Simeone”. Una legge del 27 maggio 1998, n. 165, detta “Legge Simeone”, che ha reso più ampia e facile la concessione al condannato delle misure alternative alla detenzione in carcere, nella convinzione che la permanenza in carcere sia utile per certi tipi di condannati, inutile e forse dannosa per altri. Era stato previsto da questa legge che ove la sentenza di condanna sia inferiore ai due anni di reclusione – oggi passati a quattro anni – il Pubblico Ministero debba sospendere l’esecuzione della pena, consentendo al condannato di richiedere al Tribunale di sorveglianza, entro trenta giorni, le misure alternative alla detenzione. Questa legge di cui potrebbe usufruire Gianfranco Fini, ma che già oggi lo rassicura sul suo futuro senza varcare la soglia del carcere, fu proposta e portata avanti da un mio caro amico, l’avv. Alberto Simeone di Benevento. Un mio amico anche se di idee politiche diametralmente opposte, ma si sa l’amicizia è qualcosa di più serio e intimo e pulito della politica. Alberto nel 1994 fu eletto alla Camera dei Deputati per Alleanza Nazionale nel collegio uninominale di Benevento, dove “sconfisse” il candidato Gerardo Bianco esponente della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare Italiano (di cui è stato segretario e presidente), della Margherita, non un candidato qualsiasi. Fu confermato nel 1996 e nella XIII Legislatura fece parte della II Commissione permanente Giustizia e fu il primo firmatario di un disegno di legge, approvato a larga maggioranza in parlamento, che rendeva più facile l’accesso per le pene alternative al carcere in caso di condanna uguale o inferiore a due anni di detenzione. Tale legge (chiamata poi nel gergo giornalistico legge Simeone) fu però duramente attaccata da membri del suo stesso schieramento politico che l’avevano votata in parlamento, in quanto ritenuta corresponsabile dell’aumento dei crimini comuni. Il più agguerrito oppositore e critico fu proprio l’On.le Fini che, nella sua veste di Segretario del partito, decise di non ricandidare più Alberto Simeone, reo di aver fatto una legge votata anche dai “comunisti” e che “metteva per strada i delinquenti”. Ricordo ancora l’attacco di Giuliano Gallo sul Corriere della sera del 18 giugno 1998, “Simeone l’avvocato di destra che fece liberare una ragazza finita in cella come brigadista”. Ora l’On.le Fini è tranquillo grazie alla legge di quell’avvocato del suo partito che non ritenne di ricandidare perché “indegno” di essere un uomo di destra. Il conto è servito! Alberto mi ha parlato per anni, fino alla fine della sua esistenza l’1 febbraio 2016, di questa sua vicenda politica che lo aveva molto amareggiato; non si capacitava del perché di un tale comportamento e di una tale ingratitudine. Io gli ripetevo che l’errore di Fini e di quelli che condivisero il suo giudizio della legge era stato quello di non comprendere che una legge “tecnica” di procedura penale non ha colori politici; non penso che se si facesse una legge “tecnica” che prevede di vaccinarsi, ci siano i pro e i contra a seconda del colore politico. La coerenza, che come dice Francis Bacon è “il fondamento della virtù”, ora vorrebbe che Fini varcasse la porta del carcere e chiedesse, da detenuto, l’ammissione a una misura alternativa, aspettando in cella l’istruttoria della pratica e la fissazione della udienza davanti il Tribunale di Sorveglianza. Diceva SandroPertini che “i giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”, perciò sarebbe un esempio di onestà varcare le porte del carcere per essere coerente, per credere in ciò che ha detto e fare ciò in cui ha creduto. In questo caso Gianfranco Fini avrà la sorte che non ha saputo meritarsi. Ma, si sa, queste sono condotte che solo pochi nel corso della storia hanno tenuto. Socrate benché potesse facilmente sottrarsi alla condanna grazie all’aiuto dei suoi discepoli, accettò la morte con piena sottomissione a quelle leggi che non aveva mai cessato di rispettare; ma questa è un’altra storia. Di questa “nostra” storia ci resta la signorilità, il prestigio professionale e politico di Alberto Simeone, uomo buono, che nel silenzio ha alleviato le inutili sofferenze di decine di migliaia di condannati e ha alleviato il dolore dei loro familiari. Prima di lui quei condannati a pene lievi di un mese o poco più di detenzione entravano nel carcere per scontare quei pochi giorni di condanna e non avevano neanche il tempo materiale di chiedere la misura alternativa al carcere che sarebbe stata discussa dopo la scarcerazione per completata espiazione. Oggi Gianfranco Fini, ove dovesse essere confermata la condanna nei successivi gradi di giudizio, potrà chiedere da “libero” l’ammissione a un regime alternativo al carcere con il quale espiare la eventuale pena. Grazie Alberto a nome di Gianfranco.