di Luigi Crescibene Si è conclusa, nelle luminosissime fascinazioni della bellezza, la mostra di ceramica di Matilde Liguori e Lucia Palazzo, “Malù fantasia d’Arte”. L’evento, che ha riscosso tanto palpabile successo di pubblico e critica, si è svolto, tra fulminee, baluginanti, umbratili accensioni, negli
spazi sobriamente ferventi di Palazzo Genovese (Piazza Sedile del Campo). Già Kant formulando l’idea che l’artista agisce con la
spontaneità della natura, anticipando il concetto marcatamente romantico
della fantasia creatrice dell’artista assolutamente libera, respingendo
la teoria classicistica del bello inteso come formazione formale,
stabilì il principio che la bellezza non potendo sussistere solo nella
perfezione deve risiedere anche nella funzionalità . In questo modo
egli già dava piena dignità alle cosiddette “arti minori” che avevano
come elemento distintivo l’utilizzazione pratica. Non sono mancate,
nei secoli, meditate argomentazioni che hanno sancito il superamento
della divisione tra l’arte cosiddetta applicata e l’arte libera.
Benedetto Croce, poi scriveva che l’individualità dell’intuizione
importa l’individualità dell’espressione che può estrinsecarsi in forme
decisamente diverse e che, quindi non ha senso operare una distinzione
ed una gerarchia delle arti. Tra le cosiddette arti minori, indicate
così senza pretese classificatorie, quella della ceramica ha avuto un
percorso molto più agevole. Già dal settimo al quarto secolo, in Grecia,
aveva mescolato l’equilibrio degli elementi formali con quelli
decorativi, capaci di esprimere sentimenti ed azioni con straordinaria
vis comunicativa. Nel tempo, e fino ai nostri giorni essa ha incontrato
sul suo rugiadoso cammino, l’interesse vivido ed equilibrato di tanti
grandi dell’arte. Mi piace ricordare Renoir, Matisse, e poi Gaudì,
Picasso, Fontana, Manzù ecc… Molti artisti hanno ritenuto di non poter
escludere una forma d’arte come quella della ceramica che poteva
coniugare al meglio l’impeto creativo con la serenità della
rappresentazione. E così è stato per Lucia Palazzo e Matilde Liguori che
nelle loro creazioni in ceramica, dal registro multiforme, ma dalla
cifra personalissima, in simbiotica comunione artistica, riportano sul
caldo supporto della materia , le rarefatte e splendenti modulazioni di
un mondo interiore limpido, trasognante, fervidamente incantato. Lontane
dalle esasperanti risoluzioni improntate a un bolso, asfittico,
monotonissimo decorativismo, le due versatili artiste riportano una
sensibilità essenziale fitta di emozioni e trasalimenti, di scoramenti e
di vigorose accensioni. Il fraseggio, le trame, i minuscoli segni, la
frantumazione, cercata ad ogni costo, sono distanti. Il colore
vigoreggia, si fa ricerca ed elargizione del bello, vivido, squillante,
esuberante, incontenibile. Le tonalità scialbate, ombrose, smoccolate
sono solo un necessario supporto. Non vi sono opachi intrugli riportati
dalla maniera. Gli echi, i ritorni, i riferimenti a grandi opere del
passato, sono rari ma voluti. Non si può creare senza consapevolezza di
tecnica, di esercizio, di scuola. E il colore, che nella ceramica spesso
è relegato ad un ruolo marginale di assoluta complementarietà , celebra
la sua epos. Ma il tutto è compattato dall’armonia. Il segno tortile,
scavato, sinuoso non determina angustianti spareggi. Esso è assorbito
dal colore o lo costeggia, lo circoscrive e lo slarga senza costrizioni
esacerbate, senza costipanti aggressioni. Un’evanescente e pur vivida
luce interiore, sembra trascorrere le concrezioni delle due validissime
artiste che trovano negli esiti fatturali della ceramica, nei suoi
ariosi frastagli, un “medium” insostituibile per declinare il bello e
l’anima segreta delle cose nell’atemporalità dell’estasi creativa.