Alberto Cuomo
È noto come, ormai, alla stregua della politica, in ogni istituto pubblico si tenti di fare spazio ai propri familiari e, particolarmente, ai propri figli. Presso l’Ordine degli Architetti, Pianificatori e Paesaggisti di Salerno, ad esempio, il precedente presidente, Pasquale Caprio, prima della sua decadenza, ha voluto fosse bandito un concorso per l’assunzione part time di una unità di personale amministrativo che è stato vinto dalla figlia Laura, unica concorrente ammessa su 15 domande, sia pure in anonimo, agli orali. L’Ordine offre le sue notizie ed i suoi servizi attraverso un sito dove è possibile anche accedere, tramite la voce “Consiglio trasparente”, alle varie decisioni prese, sì che si può verificare la bontà degli atti del concorso nel loro tenore burocratico. Se si chiede però al nuovo consiglio, onde verificare la correttezza della procedura e delle valutazioni, di accedere agli atti nella loro interezza, ovvero ai titoli e agli scritti dei candidati o ai motivi della loro esclusione, si viene rinviati al sito che non li contiene. Un tempo la tutela dei propri figli da parte dei potenti veniva detta “nepotismo”, ciò perché i Papi, che chiamavano alla propria corte i figli illegittimi, li facevano passare per nipoti ai quali assicurare un degno futuro. Più recentemente si è detto che l’occhio di riguardo verso figli e parenti lo avessero i baroni universitari. Niente di più falso se ci si intende sul termine “barone”. Già perché i baronetti attuali niente hanno a che vedere con i docenti universitari antecedenti all’ultimo concorso nazionale del 1978, i veri baroni cioè che mai avrebbero favorito un parente. Dal 1978 al 1992 i concorsi universitari, ancora nazionali, sono stati solo due, con pochi vincitori. Sarà quindi la riforma Berlinguer (Giovanni) che nel 1998 aprirà ai concorsi locali e al mercato delle vacche, con metodi paramafiosi, dal momento gli atenei si accordavano e si accordano sui nominativi delle commissioni locali con i membri interni che suggerivano, e suggeriscono, alle commissioni (solo tre membri) il candidato gradito alla facoltà banditrice. Oggi l’università è in decadenza proprio perché sovente i docenti più scadenti sono i più bravi a raccogliere voti per la formazione delle commissioni, in modo da favorire i propri pupilli ancora più scadenti in una progressione della mediocrità. La palma del familismo va però alla politica, non solo ai politici, quanto a tutto il contorno burocratico che si avvantaggia del proprio servilismo. Basti pensare che un assessore o un ingegnere capo di una cittadina medio-piccola giunge ad uno stipendio superiore a quello di un primario e, in una città grande, a quello di un magistrato. Per non parlare dei burocrati del parlamento o dell’ente regionale che, risultando preziosi persino nel determinare con il loro parere le scelte politiche, vengono favoriti nell’accoglimento delle loro richieste. Posti ambiti quindi che quasi passano di padre in figlio. Lucia Pagano, segretario generale di Montecitorio, ad esempio, è figlia dell’ex consigliere della Camera, Rodolfo Pagano e moglie del capo dell’ufficio Informatica di palazzo Madama, Mauro Fioroni. A sua volta Giovanni Gifuni, consigliere della Camera, è figlio dell’ex segretario generale di palazzo Madama, mentre quasi tutti gli alti funzionari di camera e senato sono figli, mariti, mogli di altrettanti alti funzionari in un intreccio di parentele che possiede il senso della dinastia. A volte l’apparato burocratico si incrocia con quello politico. È il caso di Marco Cerase, già segretario dell’ufficio di presidenza di Laura Boldrini e genero di Alberto Asor Rosa, grande critico letterario e deputato del Pd. O di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita con fratello senatore e cognato parlamentare. O ancora di Cristiano Ceresani, capo dell’ufficio legislativo della Camera e marito di Simona De Mita. Naturalmente l’apparato dinastico più significativo è quello della politica, sebbene per i politici vi sia il “fastidioso” intoppo di doversi sottoporre periodicamente al giudizio dei cittadini, invece che affrontare più facilmente i concorsi fasulli o persino le nomine dirette dei burocrati. Nessun partito si sottrare dal nominare figli, fratelli, generi, cognati in posti privilegiati nelle liste proporzionali dove, secondo la percentuale dei voti essere sicuramente eletti. È il caso di Piero De Luca, del tutto incapace di avere consensi, tanto da essere bocciato nell’uninominale a Salerno, dove il padre era sindaco, per essere eletto quale capolista del Pd prima a Caserta e poi nella sua/nostra città, oggi imposto a capo del partito regionale perché possa riconfermarsi capolista. Né sfuggono i 5Stelle che, ad onta delle parlamentarie candidarono il commercialista di Grillo e alcuni fratelli di esponenti di partito. E che dire del nipote di Scaloja consigliere regionale in Liguria, di Andrea Tremaglia eletto nel listino di FdI. In questo partito il caso più eclatante è quello del ministro Francesco Lollobrigida, ex compagno della sorella di Giorgia Meloni, ma c’è anche Marco Curria, cognato di Fabio Rampelli. Secondo Marco Rizzo ben il 7% degli attuali onorevoli, parlamentari o senatori, è rappresentato da parenti tanto da potersi dire che talvolta per decidere il voto di una legge più che riunioni di partito si fanno riunioni familiari. A questo andazzo si direbbe che i cittadini sono rassegnati, ma se anche il posto in un ordine professionale viene occupato da un figlio, o meglio una figlia del presidente non si può che essere scoraggiati dal momento si potrebbe ben dire che più del valore, del merito, valga dappertutto la parentela.





