
Bologna/Pagani. E’ considerato il re dei fallimenti pilotati, i beni del 53enne di Pagani ma residente a Bologna Salvatore Marrazzo- riconosciuto dalla Procura felsinea e dalla guardia di Finanza come “socialmente pericoloso”- passano nelle mani dello Stato. Il provvedimento di confisca, diventato definitivo dopo la decisione della Cassazione, è stato eseguito dalle Fiamme Gialle emiliane e comprende sette immobili che si trovano nel centro storico di Bologna e di Riccione, alcuni dei quali utilizzati per attività commerciali tra cui l ristorante-pizzeria ‘La Bella Napoli’ di via San Felice a Bologna e il bed and breakfast ‘Maison Juliette’ di via Riva Reno, nelle immediate vicinanze, disponibilità monetarie, polizze vita e altri strumenti finanziari per oltre 1,6 milioni di euro. Infine una società titolare delle attività commerciali requisite. Tutti i beni confiscati hanno un valore di stimabile in circa 4,4 milioni di euro complessivi. L’imprenditore risulta coinvolto in un’indagine condotta tra il 2018 e il 2020, nel cui ambito era stato arrestato con altre sei persone per aver architettato un sistema di “fallimenti pilotati a catena”, con correlata e ingente evasione fiscale. I successivi approfondimenti sviluppati dagli investigatori del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria hanno consentito di accertare, sul conto del 53enne paganese, una spiccata “pericolosità economico-finanziaria”, ricostruita grazie a una meticolosa opera di analisi e valutazione del suo ampio e variegato “curriculum criminale”, contraddistinto da numerosi episodi delittuosi di natura tributaria, fallimentare e contro il patrimonio, peraltro in continua escalation essendo passato, in pochi anni, da truffe di lieve entità, all’ideazione di articolati meccanismi di frode evasivo-fallimentari, spesse associandosi con soggetti noti alla giustizia. L’abituale propensione a delinquere ha dato modo al soggetto di accumulare un “tesoretto” quantificabile in circa 9 milioni di euro, tale da significare per lo stesso e il nucleo familiare non solo l’unica fonte di sostentamento – anche alla luce degli irrisori redditi dichiarati negli anni (poco più di 400 mila euro in 25 anni d’imposta) – ma anche la “base finanziaria” cui poter attingere per perfezionare dispendiosi investimenti societari e immobiliari tra Bologna e la Riviera Romagnola. Buona parte delle risorse così impiegate provenivano – come ricostruito grazie alla cooperazione giudiziaria internazionale – da conti correnti accesi presso una banca croata, ove venivano “dirottate” ingenti somme di denaro provenienti dalle società “pilotate” al fallimento e/o sottratte ad imposizione in Italia. Da qui, le risorse venivano fatte rientrare in Italia mediante vari escamotages per essere reimpiegate in rilevanti investimenti immobiliari e commerciali.