Eugenio Bennato: L’arte che si ribella - Le Cronache
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Eugenio Bennato: L’arte che si ribella

Eugenio Bennato: L’arte che si ribella

Grande successo di critica e pubblico per il compositore e ricercatore napoletano con le sue “Voci del Sud” protagonista insieme a Pietra Montecorvino dello spettacolo “Vento Popolare”

Di Olga Chieffi

Aveva esordito al Verdi Eugenio Bennato cinquant’anni fa, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, lo ha rivelato sul palcoscenico del massimo cittadino e le emozioni, ieri come oggi sono le stesse. Cambio di repertorio da allora, ma mai tradimento d’intenzione per quella musica che i nostri viaggiatori hanno disegnato mappe, proprio come accade per i monti, i fiumi, le pianure. E’ stata, però, una cartografia musicale che ha sovvertito le certezze, invece di fissare coordinate precise. Niente è più fluido ed evocativo di un paesaggio acustico, perché dai suoni trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza, rispetto al tempo e ai luoghi. Niente è più vibrante di un corpo d’acqua, sulle cui rotte avviene la diaspora di ritmi, melodie, vocalizzi, tonalità: “Un’ infinità di tracce accolte senza beneficio di inventario” scriverebbe Antonio Gramsci. La sensualità dei suoni, la memoria musicale millenaria che custodiamo, e le appartenenze che mettono in gioco gli strumentisti e le stesse voci ci hanno convinto che l’importante non è tanto avere una casa nel mondo, bensì creare un mondo vivibile in cui sentirsi a casa. Un eccezionale Enzo Lambiase alle chitarre, Mujura , chitarra acustica e basso, Sonia Todaro, voce e danza, Francesca Del Duca, percussioni e voce, cui si aggiunge uno ensemble di voci liriche di matrice popolare da lui formata “ Voci del Sud”, Laura Cuomo, Francesco Luongo, Angelo Plaitano, Daniela Dentato, Letizia D’Angelo, Edo Cartolano e  con la guest star Pietra Montercovino, hanno schizzato la carriera di Eugenio Bennato da Brigante Se More a Grande Sud alla Taranta Power, Nelle regioni del centro-sud Italia, infatti, e in particolare in Puglia, Campania, Calabria e Sicilia, si custodisce un tesoro di tradizioni popolari nell’ambito etnomusicale e coreografico. Tradizioni stratificatesi nel corso dei millenni a partire dai riti e dalle feste pagane delle società contadine protostoriche a cui nei secoli si sono aggiunte le tradizioni delle colonie della Magna Grecia, con i loro riti di guarigione musicale tipici della spiritualità orfica, e le influenze della dominazione saracena. Tra tutte le danze del centro-sud Italia quella che ha suscitato maggiore interesse tra gli etnologi, in quanto legata al singolare fenomeno delle pratiche terapeutiche coreutico-musicali del tarantismo, è sicuramente la pizzica. Nella tradizione del tarantismo la “tarantata” è la persona sofferente il cui male deriva dal morso velenoso della “taranta”, animale simbolico riconducibile alla tarantola. In tale contesto il manifestarsi dei sintomi del tarantismo in un soggetto trovava risposta nella partecipazione ad un complesso rito terapeutico il quale, avvalendosi di uno specifico apparato ritmico, musicale, e coreutico, riusciva a guarire la persona sofferente attraverso la trance causata dalla lunga e travolgente danza. Come ha chiarito nel 1959 l’etnologo Ernesto de Martino nella famosissima monografia etnografica “La Terra del Rimorso”, i tentativi di comprensione del complesso fenomeno non possono prescindere da un approccio multidisciplinare. L’ensemble ha  disegnato mappe musicali che hanno prodotto forme d’interferenza in grado di ridare voce a storie nascoste, rendendole così sonore e percepibili. L’importanza dei “suoni”, tutti, non sta unicamente nella forza narrativa, ma anche nella capacità di sollevare questioni critiche. I suoni ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente. Questo il merito di Eugenio Bennato, aver disegnato nuove cartografie sonore, una questione di avvenire, la domanda dell’avvenire stesso, la domanda di una risposta, di una promessa e di una responsabilità per il domani, per dirla con Derrida. Come il mare, che un tempo ha agevolato il passaggio della maggior parte delle culture, i processi sonori e poetici propongono un’economia affettiva, destinata a scardinare le configurazioni fisse di tempo, spazio e appartenenza, in una continua ricerca. Tradizioni antiche e sonorità inusitate sono arrivate filtrate da una sensibilità leggiadra, capace di evocare nel corso della stessa canzone il fumo e il mistero, di Napoli da parte della Montecorvino, il volo metafisico, l’ umorismo sperimentale e le più genuine risonanze etniche. Ogni cosa sotto l’egida di una palese imprevedibilità, di un gusto assolutamente melodico, di uno spirito libero, fautore di un’arte che si ribella. Applausi e tante chiamate al proscenio.