Pina Ferro
Ha raccontato in aula non senza contraddizioni il periodo in cui è stato vittima degli usurai. Ieri mattina dinanzi ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno l’imprenditore, titolare di un’agenzia funere, Pisciottano ha risposto alle domande del pubblico Ministero Vincenzo Montemurro e degli avvocati della difesa. Il processo è quello per le storsioni e usura per “piegare” gli imprenditori, costringendoli a cedere le loro aziende a un sodalizio che per gli inquirenti aveva tutti i connotati di un’organizzazione camorristica. Gli imputati (all’origine erano 14, solo 4 sono rimasti nel rito ordinario) sono:il vecchio boss Giovanni Marandino, originario di Battipaglia ma residente a Ponte Barizzo a Capaccio (difeso da Arnaldo Franco);
Francesco Pingaro di Capaccio, Nicola Battipaglia di Nocera e Emanuell Marandino di Capaccio.
Secondo il racconto, l’imprenditore aveva un rapporto usuraio con i fratelli Dolce dai quali avrebbe ricevuto 40mila euro e ne aveva versati 140mila. Nel rapporto tra i Dolce e l’imprenditore si inserisce un altro imprenditore Squecco il quale propone una società al collega con una divisione delle entrate e un’altrettanta divisine di denaro da versare ai Dolce. Squecco veraserà i 2/3 delle rate mensili dovute. Dopo un po’ di tempo la società si rompe e Squaccio chiede a Piscittano 60mila euro. Poi l’imprenditore ha parlato di un incontro presso un distributore di benzina con il socio di un tempo e dove trova anche alcuni dei coimputati nel processo. Il test di ieri ha dapprima affermao di non conoscere Giovanni Marrandino, che in realtà lui chiama Nuccio. Insomma molta confusione. Il processo dovrebbe riprendere a fine gennaio con altri test.
Secondo l’accusa dominus dell’organizzazione era il 78enne Marandino, già noto alle cronache giudiziarie per aver coperto negli anni ’70 la latitanza di Raffaele Cutolo. L’anziano boss, secondo la Dda, era riuscito a riorganizzare le fila del suo gruppo criminale imponendo estorsioni e usura a imprenditori del settore alimentare e di quello delle pompe funebri, soprattutto nella zona di Eboli e Battipaglia.
Altri indagati avrebbero invece approfittato dei rapporti col gruppo per fare pressione su imprenditori concorrenti. È il caso di Squecco, accusato di estorsione nei confronti di un altro titolare di agenzia funebre, anche se in sede cautelare il Riesame non ha ritenuto contestabile il reato di associazione camorristica e ha derubricato l’ipotesi di estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in virtù di un credito.