Il chitarrista e compositore pompeiano nel suo recital previsto per mercoledì 11 aprile a Palazzo Fruscione, proporrà una canzone su versi del giornalista-poeta
Di OLGA CHIEFFI
Artisti vestiti di soli giornali in cammino su uno strato di libri, per sconfiggere l’ignoranza, questa è stato la performance ideata per il vernissage della collettiva “Disarmiamo l’Ignoranza – AnimArte” inaugurata venerdì sera a Palazzo Fruscione, organizzata dall’Associazione MARIC (Movimento Artistico per il Recupero delle Identità Culturali). Mercoledì sera, alle ore 18, nell’ambito del cartellone allestito per animare sempre di nuovo pubblico l’esposizione, sarà la musica a disarmare l’ignoranza, con un récital di Espedito De Marino: dal titolo “Se potessi”, una voce e una chitarra, attraverso cui la parola e la melodia ci condurranno in viaggio tra diverse tradizioni popolari, dal Sudamerica a Napoli, dalla tradizione messicana al folk, passando per le pagine di Lucio Dalla, Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Fabrizio De André, Roberto Murolo, Totò, Enzo Gragnaniello, Pino Daniele. Espedito De Marino disegnerà con il verso e la musica mappe musicali che produrranno forme d’interferenza in grado di ridare voce a storie nascoste, rendendole così, sonore e percepibili. L’importanza dei “suoni”, tutti, non sta unicamente nella forza narrativa, ma anche nella capacità di sollevare questioni critiche. I suoni ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente. In scaletta una composizione inedita su versi di Enzo Todaro, “Pace nel Kosovo”. Un testo che nasce da tre liriche dedicate alla questione balcanica del volume “Vorrei ancora” del nostro giornalista-poeta, ripensate in due quartine e refrain: “Occhi vitrei, mani protese nel vento, piedi nudi e pochi stracci su un corpo innocente”, giocate, ci ha rivelato Espedito De Marino, sull’intervallo di quarta. Il merito dell’ operazione, nata per questo evento è quella di disegnare nuove cartografie sonore, una questione di avvenire, la domanda dell’avvenire stesso, la domanda di una risposta, di una promessa e di una responsabilità per il domani, per dirla con Derrida. Come il mare, che un tempo ha agevolato il passaggio della maggior parte delle culture, i processi sonori e poetici proporranno un’economia affettiva, destinata a scardinare le configurazioni fisse di tempo, spazio e appartenenza, in una continua ricerca. La musica e l’arte tutta sono prive di compromessi, come l’opera e la vita di Enzo Todaro scandita e impreziosita dalle sue mille battaglie, condotte e vinte con la sua testardaggine, con la sua natura intransigente, che non teme di “nuotare contro il torrente”, per dirla con il filosofo degli “Eroici Furori”, Giordano Bruno. Il Todaro poeta, non nuovo a scrivere poesie per musica, quali “Tu che vieni dal freddo” e “Tu ca’ nun chiagn’ “, resta, alla ricerca di un’oasi di pace ove scampare al nichilismo che ci circonda, a quel processo storico nel corso del quale i supremi valori tradizionali – Dio, la verità, il bene – perdono il valore e periscono. Ecco, allora che la musica schizzerà uno spazio che appartiene ad un preciso luogo interiore, fatto di dinamismo lineare e luministico segnante una sicura assimilazione e un tributo affatto inerte all’universo sentimentale del poeta. La poesia, come l’arte non si rinnova con la ricerca di nuove forme, spesso imperfette, ma con la trasfusione, sia pure in vecchi schemi, di uno spirito nuovo, quello stesso spirito che sarà evocato da quell’intervallo di quarta, che è alla base della musica popolare, quello che s’intona più semplicemente, lo stesso sul quale Gustav Mahler basa la sua Quarta Sinfonia, il cui tema unificatore era dato da tre lieder, estrapolati da Des Knaben Wunderhorn (La vita terrena, Campane del mattino, La vita celestiale), sul comune sfondo dell’infanzia, riguardata nei suoi risvolti ora più ingenui, ora più tragici, come ne’ La vita terrena, dove si narra la storia di un bimbo che muore di fame per i fatali «ritardi» delle cose del mondo. “Vorrei ancora….”: Pace.