Emiliano Barbuto, preside Galileo-Di Palo: Formare cittadini e lavoratori onesti - Le Cronache
Salerno

Emiliano Barbuto, preside Galileo-Di Palo: Formare cittadini e lavoratori onesti

Emiliano Barbuto, preside Galileo-Di Palo: Formare cittadini e lavoratori onesti

di Matteo Gallo

Negli spazi destinati alle offerte di lavoro, all’interno dell’istituto di istruzione superiore Galilei-Di Palo di Salerno,  sono tante le aziende del territorio che ricercano figure professionali specializzate. Queste richieste restano appese su grandi bacheche di legno il tempo necessario a essere soddisfatte. Poi vengono staccate e sostituite con quelle nuove. «Tutto questo accade di continuo» sottolinea il dirigente Emiliano Barbuto, classe 1973, una laurea con lode in Fisica e diverse pubblicazioni scientifiche nel proprio cassetto curriculare, a cui si aggiungono interventi a conferenze e collaborazioni a esperimenti presso il Cern di Ginevra e i laboratori nazionali del Gran Sasso. «Abbiamo un indice di occupabilità molto alto che ci gratifica e ci spinge a fare sempre di più. Ci sono imprese che prenotano i nostri studenti già dal quarto anno. Qualcuno è stato assunto il giorno dopo essersi diplomato».
Una bella soddisfazione, preside Barbuto.
«La soddisfazione più grande è dare opportunità concrete ai nostri ragazzi. Negli ultimi anni stiamo registrando un sensibile aumento anche di studenti stranieri, figli di immigrati, esattamente per questa ragione».  

Scuola e lavoro, dunque, non sono mondi così lontani…
«In verità non c’è ancora una piena corrispondenza».

Questa mancanza cosa produce?
«Tanti posti di lavoro vacanti. Le faccio un esempio. In provincia di Salerno ci sono aziende manifatturiere che cercano, senza trovarli o trovandoli con grandissima difficoltà,  saldatori, tornitori, progettisti e disegnatori cad. Nel mentre si registra una crescente disoccupazione intellettuale da parte anche di persone laureate. La fuga di cervelli dall’Italia non avviene soltanto perché esistono i raccomandati ma perché il mercato interno è saturo di determinate figure professionali mentre di altre esiste una maggiore richiesta ma mancano le competenze necessarie per soddisfarle».

Lei è stato docente di matematica e fisica prima di diventare dirigente scolastico. 

Chi sono stati i suoi maestri?
«Tutti i dirigenti scolastici che mi hanno accompagnato quando ero docente. In modo particolare Renato Peduto, con il quale ho lavorato a lungo, che mi ha insegnato la capacità di gestire il personale con motivazioni legate a obiettivi importanti e concreti. Angelo Polico, per la capacità di costruire relazioni umane solide e virtuose. Ester Cherry, per il coraggio e la determinazione di fronte alle difficoltà».

Qual è lo stato di salute della scuola pubblica in Italia?
«C’è tanto da lavorare per migliorarlo».

Quali sono le priorità?
«Dispersione ed edilizia scolastica». 

Viviamo un’epoca di profondi cambiamenti, o come sostenuto dallo stesso Papa Francesco, siamo alle prese con un un vero e proprio cambiamento d’epoca. La scuola cosa può e deve fare di più in questa stagione dell’umanità? 
«Deve comprendere e avvicinarsi alle nuove generazioni costruendo ponti di dialogo e verso il futuro possibile da costruire sulla base anche degli obiettivi strategici per la crescita del nostro Paese».

La didattica digitale è uno di questi ponti?
«Le nuove generazioni non apprendono più solo tramite elementi testuali ma anche attraverso le immagini, i filmati e le simulazioni interattive utilizzando tra l’altro diversi device. La didattica digitale genera esperienze di apprendimento diverse attivando parti del cervello differenti».

La didattica digitale rappresenta una sfida bella e complessa. La scuola è pronta a raccoglierla? 
«Assolutamente sì. La minore sintonia con le nuove tecnologie riguarda tutta la “vecchia” generazione e non certamente in modo esclusivo il mondo della scuola. Da una parte ci sono i migranti digitali, dall’altra i nativi digitali». 

E questa distanza come si riduce?
«Lavorando con serietà, impegno e rigore sulla formazione  come sta facendo il mondo della scuola. Ma anche dialogando quotidianamente con i ragazzi».  

La familiarità con la tecnologia è senza dubbio un ‘plus’ di questa generazione.
«Siamo di fronte a nuovi cervelli che possiamo ingabbiare nei nostri schemi, forzare, riadattare, riprogrammare facendo riferimento a canovacci del passato oppure possiamo assecondarne inclinazioni, potenzialità e capacità nuove con l’obiettivo di formare e rendere pronte le giovani generazioni alla società del futuro». 

Lei cosa consiglia di fare?
«E’ necessario agire sullo studente, inteso sia come cittadino che come professionista, con l’obiettivo di formare entrambi. Questo affinché entrambi si possano realizzare pienamente acquisendo responsabilità e consapevolezza». 

Anche le discipline Stem (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche) sono sempre più cruciali per il nostro Paese e costituiscono un ponte di collegamento con il mondo del lavoro.

«E’ proprio così. Rappresentano settori fondamentali nei quali c’è grande bisogno di diplomati e laureati».

L’alleanza educativa scuola-famiglia è in crisi?
«Le famiglie si pongono nei confronti della scuola in modo differente a seconda del ciclo di studi dei propri figli. Alla primaria i genitori sono molto presenti anche negli organi collegiali, talvolta con proposte e pretese. Alla secondaria questa attenzione viene meno manifestandosi solo quando c’è una criticità. In generale le famiglie pagano il prezzo di una giornata scandita dai ritmi incessanti del lavoro che sottrae inevitabilmente tempo ai figli. Questa dinamica si ripercuote anche sul rapporto con il mondo della scuola e prende la forma di interventi a gamba tesa del tutto ingiustificati ma anche di lamentele più che giustificate». 

Dimensionamento scolastico: errore o necessità?
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede non solo investimenti ma anche una serie di riforme. Gli investimenti, ovvero le risorse a disposizione delle scuole per realizzarli, sono collegati proprio alle riforme, tra le quali figura lo stesso dimensionamento. Detto questo, sicuramente bisogna riconoscere che la creazione di scuole con non meno di mille alunni ne renderà molto più complessa la gestione. Per i dirigenti, ad esempio, non sarà facile passare da cinquanta a centocinquanta docenti».

All’autonomia scolastica segnata da una certa competizione su iscritti e indirizzi di studio se ne può immaginare, e realizzare, un’altra caratterizzata invece da una maggiore cooperazione tra scuole per quanto riguarda la messa a disposizione reciproca di aule e laboratori?
«Una cooperazione di questo tipo potrebbe essere realizzata solo in caso di prossimità territoriale».

Cosa pensa invece dell’idea di un ‘polo scolastico’ pubblico?
«Un polo scolastico con spazi comuni, flessibili e modulari da assegnare di volta in volta agli istituti che ne fanno richiesta, sarebbe un’idea intelligente». 

Un passaggio sull’attualità politica. La convince la riforma degli istituti tecnici proposta dal governo?
«Mi convince la filiera naturale con gli Its Academy. Mi convince meno la riduzione del percorso di studi a quattro anni. Quest’ultima va verificata sul campo».
In conclusione. Quali dovrebbero essere oggi le parole d’ordine per la scuola?

«Personalizzazione e orientamento. Senza una buona personalizzazione dell’apprendimento non ci potrà mai essere un efficace orientamento».