di Erika Noschese
«È una necessità democratica»: così i docenti Amendola Adalgiso, Avallone Gennaro, Bubbico Davide, Esposito Vincenzo, Monaco Davide, Ripa Valentina, Schiaffo Francesco e Vitale Francesco commentano la decisione del personale docente e ricercatori dell’Università di Salerno di scendere in piazza oggi aderendo alla giornata di sciopero nazionale che, hanno spiegato, «va oltre le stesse rivendicazioni alla base della mobilitazione, in quanto è anche una risposta all’attacco politico che il Governo – nella figura del Ministro delle infrastrutture – ha mosso al diritto di sciopero attraverso l’istituto della precettazione». Le ragioni puntuali dello sciopero sono note e riguardano la condizione di impoverimento di aree crescenti del lavoro dipendente e autonomo a causa dei bassi salari e redditi e dell’inflazione crescente, nei confronti dei quali le politiche del Governo sono del tutto prive di efficacia e di volontà di contrasto. «Più complessivamente, esse si riferiscono alla necessità di difendere settori pubblici essenziali, specialmente la sanità e l’istruzione, compresa quella universitaria. Nel ruolo di docenti – dunque di lavoratori di un’istituzione che a livello globale si è sempre più trasformata in fabbrica della conoscenza, basata sulla precarietà delle condizioni di lavoro, sulla subalternità al mercato e sulla subordinazione alla ricerca di finanziamenti privati, con l’esposizione anche ai rapporti con le imprese produttrici di armi e dispositivi di controllo sociale – riteniamo necessario aderire, formalmente e materialmente, allo sciopero – hanno aggiunto i docenti universitari – La precarizzazione del lavoro nelle università – attestata dalla moltiplicazione delle figure di ricercatori al suo interno, che, nonostante l’emorragia costante di docenti, restano prive da lungo tempo di un piano di reclutamento ordinario e sufficientemente finanziato, a cui riferirsi per dare senso e speranza concreta al loro lavoro di studio e insegnamento – va di pari passo non solo con la messa in ginocchio di fondamentali settori della vita, in particolare istruzione e sanità, ma più complessivamente con la banalizzazione del lavoro, che perde diritti ma anche senso agli occhi di chi lo svolge. È quanto accade a tanti di noi costretti ad assecondare procedure burocratiche che assorbono tempo ed energie sottratte alla ricerca. Si pone, dunque, il problema del senso del lavoro, della sua liberazione dai processi e dai rapporti di alienazione, anche all’interno delle fabbriche della conoscenza. E si pone sempre più, a fronte del montare di un clima culturale pericolosamente neoautoritario, la necessità di vigilare costantemente in difesa della stessa libertà accademica». Amendola, Avallone, Bubbico, Esposito, Monaco, Ripa, Schiaffo e Vitale evidenziano poi di essere «consapevoli che non può essere una giornata di sciopero a risolvere queste questioni strutturali, ma sappiamo anche che, se non ci mobilitiamo con le altre lavoratrici e gli altri lavoratori per mettere in discussione il presente, nessuno lo farà al posto nostro. Ci impegniamo a fare in modo che questa giornata concorra ad avviare un processo di mobilitazione più generale, che coinvolga tutte le componenti del mondo universitario: per riattivare il ruolo critico dell’università, ma anche nella più generale convinzione che solo una costante spinta civile dal basso, una rivendicazione forte e generalizzata di salario, di welfare e di risorse, e allo stesso tempo di democrazia, di diritti, di libertà e di uguaglianza, può riaprire la possibilità di una via di uscita dalla crisi, nazionale e globale, che stiamo attraversando. Per queste ragioni, aderiamo allo sciopero del 17 novembre 2023».