Del pianoforte romantico di Robert Schumann - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Del pianoforte romantico di Robert Schumann

Di Olga Chieffi

Vetrina per il magistero pianistico del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno, nella Chiesa di San Giorgio, ospite dell’Associazione “Alessandro Scarlatti” presieduta da Oreste de Divitiis e diretta dal flautista Tommaso Rossi. Penultimo appuntamento, questo di domani sera alle ore 19,30, di una terza edizione dedicata interamente a Robert Schumann e Fryderyk Chopin che continua a presentare al grande pubblico gli allievi dei docenti Dario Candela, Costantino Catena, che è il coordinatore del progetto, Salvatore Giannella, Tiziana Silvestri e Demetrio Massimo Trotta. Il concerto stavolta monografico e dedicato interamente a Robert Schumann, saluterà in apertura, la performance di Lorenzo Villani, il quale si cimenterà con i Phantasiestücke op. 12, composti nell’estate del 1837. La raccolta si apre con una pagina delicatissima e dalle morbide sonorità, Des Abends, in cui si respira un’aria di notturna poesia romantica tra modulazioni di affettuosa dolcezza espressiva. Il successivo Aufschwung, dal ritmo dinamico e incisivo, è carico di travolgente eccitazione psicologica. Con il terzo brano Warum, si torna a quello stato di abbandono e di malinconia che è tipico del musicista quando avverte le difficoltà provenienti dall’impatto con la realtà. Più movimentato e tormentato il gioco delle modulazioni in Grillen, dove luci ed ombre si alternano fra di loro. Nel successivo Nella notte l’agitazione e l’ansia si fanno intense e ossessive con quella varietà di tonalità e di ascendenze cromatiche, caratteristiche del linguaggio di questo quinto pezzo. Qui esplode veramente quel senso drammatico e quasi di disperazione che serpeggia in tante composizioni pianistiche di Schumann. In Fabel si esprime con leggerezza di tocco un’atmosfera fatta di ricordi della fanciullezza. Ed ecco Traumes Wirren con il loro trascolorare di scherzosi capricci e di immagini disegnate con brevi tratti di penna. Ende vom Lied, ovvero la fine del canto, inizia in modo volutamente prosaico, dapprima con un tema ben squadrato e un po’ pesante, da cui spira un sano e aproblematico buonumore, poi con un allegro e popolaresco andamento di marcia. Ma improvvisamente tutto sparisce e dal registro grave sorgono pensosi e gravi accordi, che concludono i Phantasiestücke nella stessa tonalità di re bemolle maggiore in cui erano iniziati. Seconda parte della serata affidata a Federico Cirillo, che proporrà al pubblico salernitano la Fantasia in Do Maggiore op.17 che ha nelle sue mani le armi estetiche per riuscire ad articolare quel discorso dalla chiarezza lucidamente visionaria, stabilendo a ogni istante il punto di arrivo di una molteplicità di avvii, nessi, allusioni, riferimenti, associazioni, che percorrono l’opera sciogliendosi in canto e gioco di riflessi. La Fantasia consta di tre soli movimenti, come la Sonata “quasi una Fantasia” op. 27 n. 2 Al chiaro di luna di Beethoven, ma a proporzioni invertite: un Allegro iniziale in forma sonata, un ampio Scherzo centrale e un lungo Adagio conclusivo. Nella rinuncia alla convenzione di un quarto movimento in tempo vivace può aver influito la volontà di conciliare libertà romantica e grande forma in una specie di poema musicale aperto, senza schemi e soprattutto senza approdi risolutivi, in dissolvenza. Da questo punto di vista l’indicazione esecutiva che appare all’inizio (durchaus fantastisch und leidenschaftlich, “in modo assolutamente fantastico e appassionato”,) è più di un programma, non meno di quel “tono di leggenda” prescritto nell’episodio centrale del primo movimento: termini che nella loro pregnanza ne individuano il percorso attraverso contrasti e slanci, contemplando agli estremi opposti le fasi complementari dell’anelito struggente e dell’intima riflessione. Questi caratteri, ribaltati nel movimento centrale in una sorta di marcia tesa ed energica, a tratti cavalleresca, si ripresentano sotto nuova luce nel movimento lento finale: l’atmosfera onirica, là tanto viva e pulsante, qui si interiorizza e si decanta fino ad assottigliarsi nella fluidità impalpabile di un fraseggio sottilmente inquieto, sfumando l’intensità lirica in una delicata scia iridescente, l’universo dei suoni prima esaltato, poi placato nella memoria e, infine, consegnato al silenzio.

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