di Salvatore Marrazzo
Di Vincenzo De Luca, nostro governatore regionale, tutto si può dire tranne che non le mandi a dire. A chi si rivolge, questa volta, il nostro abile comunicatore attraverso il suo spazio televisivo settimanale che occupa legittimamente da un decennio? Alle “persone per bene.” Ecco, De Luca si rivolge alle persone per bene. Chi sono? I preti spretati. Quelli che “chiagnen e fottono.” Il linguaggio colto e a effetto del nostro presidente non è nuovo né stupisce più. Anzi, per la sua sintetica efficacia, è da stimare come travolgente, irruente, appassionato, carico, emotivo e viscerale. Ha un vigore impetuoso, furibondo, apparentemente impulsivo, ma controllato.
De Luca è un oratore di rango e un politico che non ha mai sbagliato una mossa. Il suo linguaggio è sempre perspicace, perché sempre diretto a chi lo debba intendere. Ecco, allora, l’altra categoria umana cui si rivolge: gli opportunisti. “Non offrirò lo scudo paravento a nessuno”. In breve, ci sono le elezioni regionali e De Luca è consapevole di non poter fare affidamento sul terzo mandato. Non può più essere rieletto. Per questo è furibondo. Lo dice senza mezzi termini, così come sostenta la libertà di poter dire. Che cosa? De Luca auspica un negoziato, una trattativa, una mediazione senza pregiudiziali e senza pregiudizi sui nomi da indicare per il governo della regione. E, quindi, sui programmi, cui dovrà attenersi chi si accingerà ad amministrare la seconda regione d’Italia per importanza elettorale e non solo.
De Luca è un fiume in piena, è il suo stile, è la sua irriverenza educata, è il suo sproloquio, è la sua estroversa omelia, ma che cosa auspica? La competenza, innanzitutto. E di non sprecare ciò che, “buttando il sangue”, lui ha portato avanti con il consenso elettorale – ricorda che il Pd aveva il 12% di consenso mentre rivendica il suo 70% ottenuto alle ultime elezioni – e con l’esperienza, con l’abilità e con la conoscenza amministrativa dei suoi uomini.
De Luca mette avanti una sapienza pratica, una phronesis, capace di guidare l’agire di là dalle “pippe” intellettualoidi e dai sofismi del politichese. Questo suo procedere oratorio e fattivo è ormai consuetudine, routine, tradizione per chi è assuefatto o esausto dai modi del governatore, tuttavia, la sua indole, il suo temperamento, la sua natura concreta, induce a porre qualche domanda, così come il suo dire stimola delle riflessioni che nei limiti di uno spazio giornalistico non possono né vogliono essere esaustive. Allora, c’è da chiedersi: chi sono i preti spretati? Chi sono le persone per bene, quelli che “chiagnen e fottono”? Chi sono gli opportunisti? Perché De Luca li protegge? E da che cosa li protegge? Proviamo a rispondere con un’ermeneutica dell’accenno, giacché nessun linguaggio figurato può essere messo del tutto in chiaro.
Gli opportunisti sono quelli che non si schierano prima. Quelli che non dicono da che parte stanno. Sono i furbi che prendono consistenza a cose avvenute. Sono quelli che abusano di un ruolo per giocare su più tavoli contemporaneamente, per poi approfittare del vincitore. Sono quelli che aspettano per saltare dove gli conviene e non dove è giusto stare secondo una propria opinione. Detto questo poco, la politica è fatta di forze in campo, di schieramenti per affinità, di soluzioni da proporre e da discutere con il proprio elettorato e con gli elettori. La politica, bensì, è fatta ancora di uomini forti. La forza sembra sempre di più un nuovo paradigma di deterrenza. Allora, chiedo, dove sono le forze politiche che hanno la chiarezza del loro dire, della loro visione, del loro da farsi, del loro schierarsi indefessamente per un obiettivo da perseguire. Chiedo quali sono le differenze economiche strategiche che hanno. Chiedo della sanità, del lavoro, di un piano industriale, chiedo le loro posizioni e i loro metodi. Chiedo innanzitutto a tutti di essere conseguenziali di qualcosa e non di pure astrazioni. Certo, la politica non ha dalla sua la moralità, la politica adulta è fatta di compromessi e vigliaccate, che non si addicono agli uomini “puri”, questi fanno altri “mestieri”, tuttavia, un partito che si dichiara di sinistra deve preferire un’economia mancina, non progressista, un’economia di stato, per capirci, altrimenti cambi registro. Un partito che si nomina democratico, vuol dire che altri partiti non lo sono? Un partito democratico si occupa, almeno mediaticamente, solo dei diritti civili? Si può capire che cos’è il Partito Democratico, di là dagli slogan, e dalla tradizione laica, operaistica e cattolica?
Massimo Cacciari dice che il PD non è un partito, ma un insieme di avanzi di partiti il cui unico collante è il potere. Non ha né strategie né anima. E i conservatori, sono per un liberismo della forza? O sono per un’idea liberale che garantisce la libera competizione senza lasciare dietro gli ultimi. La situazione, per tornare in Campania, è questa. La Schlein, segretaria del PD, non può perdere la Campania, pena la compromissione della sua leadership. Conte, segretario dei Cinque Stelle, non può continuare con un’opposizione senza termine e senza scendere a compromessi con il PD ma rivendica, per posizioni e spartizioni prettamente nazionali, un candidato governatore. L’esigenza di un insieme è indispensabile per tutte le parti se non si vuole perdere. A ora, Fratelli D’Italia, Forza Italia e la Lega non hanno ancora trovato una sintesi su un nome tutelare. Scarseggiano di classe dirigente? La possibile vittoria delle regionali in Campania prevede, quindi, alleanze molto larghe e candidati condivisi. In questo marasma di trattative e d’indecisioni, De Luca può giocare la sua ennesima partita tenendo ben strette le redini del gioco dall’alto del suo “sapere”. Può chiedere tutto e avvertire tutti. E con tutte le ragioni possibili. Chiedersi, a questo punto, se le ragioni di una cura, cioè fare a meno di De Luca, non sia peggiore del male, non è poca cosa. De Luca, forse, garantisce tutto e tutti e, indistintamente, assicura le alleanze in campo. Da abile politico qual è, De Luca innalza la sua oratoria e tutta la sua capacità retorica e persuasiva. Per certi impegni del consorzio umano, scriveva S. Agostino, è necessario farci amare e temere.





