di Alberto Cuomo
De Luca ha ragione quando sostiene che rimarrà alla guida della Regione per altri 100 anni. Il suo partito infatti sta implodendo e, dal momento da molto tempo, già da sindaco di Salerno, è anche il garante della destra che, con lui gestore del potere locale, vince sistematicamente in campo nazionale, quasi vi sia un sottaciuto accordo, probabilmente non avrà avversari validi appartenenti alla compagine di governo ad ostacolarlo nella futura corsa alla Regione. Il sintomo dello sfarinarsi interno del Partito Democratico, per quanto possa apparire strano, è nella continua critica ad ogni azione di Elly Schlein da parte della stampa cosiddetta amica, in una sorta di triplo salto mortale da parte di giornali, e giornalisti, nel censurare gli atti del governo e, contemporaneamente, quelli dell’opposizione schleiniana. Ora è la volta della partecipazione della segretaria dem alla manifestazione del Movimento5S a far gettare strali contro di lei dall’interno e dall’esterno del partito, sottolineati dalle dimissioni del candidato alla presidenza della Regione Lazio, Alessio D’Amato, dalla direzione nazionale del Pd. Una perdita importante per il partito in termini di quantità di suffragi ma non di qualità politica se si considera come il D’Amato sia un ex comunista della formazione di Diliberto il quale, sostenuto dalle holding laziali della sanità, di cui era assessore, sconfitto tuttavia nel voto regionale, cooptato nel Pd, è approdato sulla riva del liberalismo di Calenda che, pare, gli avrebbe promesso una candidatura alle prossime elezioni europee. Ma niente. Sebbene uno così ondivago, per qualsiasi partito, sarebbe meglio perderlo, gli organi di stampa, pur avversi al governo, hanno strombazzato ai quattro venti la notizia delle dimissioni per rilevare una nuova sconfitta della Schlein. L’episodio è sintomatico di come il Pd sia in mezzo a un guado. Da un lato la Schlein tenta di condurlo verso una rifondazione che però modernizzi i tradizionali valori di sinistra. Dall’altro i cacicchi, come D’Amato o De Luca, mostrano di voler frenare il rinnovamento magari rivolgendosi, morto Berlusconi, ad un nuovo soggetto politico di centro. La partecipazione di Elly alla manifestazione stellata non fa certamente scandalo. Il fatto che Grillo usi il termine “brigate” per indicare una rivoluzione fondata sull’essere “cittadini” appartiene alla sua strampalata ideologia illuminofuturibile che nei contenuti è però in linea con i valori della sinistra circa la “cittadinanza attiva”. Anche la posizione di Conte sull’invio di armi in Ucraina appartiene alle tradizionali lotte della sinistra contro ogni imperialismo armato e, particolarmente, contro quello americano sub specie Nato. Singolare poi che Antonio Polito, editorialista del Corriere, un quotidiano con aperte simpatie dem e avverso alla Meloni, si interroghi sul perché De Luca sia da definire cacicco e sul motivo della “punizione” al figlio Piero, non confermato vicecapogruppo alla camera. Non si interroga Polito sul familismo deluchiano? E non è anche il familismo ad individuare i cacicchi i quali godono di potere assoluto tanto da imporre i propri figli in posizioni di comando? Dove vive Polito per non accorgersi che in Campania, dopo Bassolino, dall’avvento di De Luca, il Pd non ha più una organizzazione credibile essendo solo il fratello minore del partito personale del governatore. I commissari della Schlein per il Pd campano di fatto appaiono sempre più un bruscolino fastidioso negli occhi del presidente della Regione che, come mostrano i suoi recenti pistolotti televisivi, si sta già preparando per il voto, sovrapponendo temi regionali a temi locali nella eventualità, con il permanere della Schlein, dovesse optare per la candidatura a sindaco di Salerno. Ed infatti, mentre vanta le presunte ottime performances della sanità regionale di cui è responsabile, smentito dalle manifestazione di sanitari e malati che invece ne denunciano il decadimento, le carenze di organico e di mezzi, eccolo spostarsi sui temi salernitani, la costruzione del nuovo ospedale, con un appalto di ben 350 milioni (per comprendere l’entità dei lavori si può citare la cittadella giudiziaria costata 70 milioni espropri compresi) aggiudicato al solito Rainone quasi sia l’unico costruttore salernitano, o il ricondurre l’università a Salerno mediante l’uso del vecchio palazzo di giustizia per chi sa quale funzione accademica. Una ipotesi fantasiosa, dopo quella di un ex operatore giudiziario che suggeriva di renderlo museo. Infatti, se le aule del Tribunale non sono adatte, per l’eccessiva luce, alla esposizione di opere d’arte, i loro spazi non sono neppure utili, per non essere concentrati sul fuoco visivo di una cattedra, a possibili lezioni, oltre ad essere del tutto dispersivi per un master, come suggerisce il presidente campano. La verità è che due tribunali pesano sulle casse comunali e De Luca vorrebbe sgravare la città dell’onere economico del più vecchio, caricandolo sull’ateneo che, si spera, non si farà infinocchiare. Ma tant’è, De Luca agita i temi tipici del suo sindacato, il lancio cioè di opere pubbliche da inaugurare all’infinito. In cuor suo spera che la Schleim perda le europee del prossimo anno, sì che sia defenestrata in un nuovo congresso. Ma, se mai resistesse, il Pd alle regionali potrebbe candidare Manfredi, ex rettore e sindaco di Napoli, rendendo più complicata e dispendiosa una campagna elettorale con lista autonoma, da solo contro tutti. E allora meglio avere un piano B: rinunciare alla candidatura regionale per candidarsi sindaco della città con nuova promozione per Piero, in un idilliaco rapporto con Illy. Da qui a cento anno appunto.