di Malatesta
Come la si giri o la si volti, Vincenzo De Luca si accinge a tagliare l’ennesimo traguardo e a celebrare, in età ultra-matura, una nuova insperata vittoria. L’incontro dell’altra sera con Giuseppe Conte, il padre padrone dei Cinque Stelle, certifica la sua posizione di primato nell’area sbrindellata di un centrosinistra orfano di figure significative di riferimento. Perché? Il ragionamento è semplice: il governatore, che ha tentato fino allo stremo di tramare per il terzo mandato, si è dovuto rassegnare alla situazione attuale, affrontabile soltanto con un’alta dose di realpolitik. Non gli piace affatto Fico, sul quale il movimento di Conte punta per la più alta poltrona di Palazzo Santa Lucia, ma non è da trascurare il dato – avrà pensato il presidente uscente della Regione – che si tratta comunque del nome sul quale gli ex grillini puntano con forza, dal momento che sullo scacchiere nazionale la Campania è stata di fatto “assegnata” ai pentastellati. De Luca, che continua a non preferirlo e a non escludere mosse alternative possibili, ha quindi aperto i giochi, dimostrando di fatto che è disponibile a una discussione anche su questo fronte. Giuseppe Conte, politico molto modesto ma assetato di potere, non si è fatto pregare ed è nato l’atteso discorso, che svincola la Campania da molti dei dubbi che ancora sovrastano la Toscana, dove Giani che potrebbe ricandidarsi, e intende farlo, non è gradito né alla segretaria PD né ai Cinque Stelle. Perché De Luca ha giocato alla grande il colpo decisivo a lui più favorevole? Egli sa che Roberto Fico è una delle figure di più basso profilo che il Centrosinistra potesse individuare, sia per l’inesistente spessore politico personale sia per la mancata presa su un’opinione pubblica che non lo riconoscerebbe come candidato, figuriamoci vincente. E De Luca sa che senza i suoi voti, con un aspirante sostituto di tal fatta, una vittoria progressista sarebbe inimmaginabile, anche se il Centrodestra dovesse candidare qualche ignoto signore di quarta fila. Naturalmente, un contributo così decisivo (determinare cioè la vittoria di Fico) avrebbe un prezzo altissimo, proporzionato alla funzione che i consensi dell’apparato deluchiano, tra i più strutturati e onnivori d’Italia, maturerebbe nell’intrapresa. Molto facile immaginare la moneta di scambio: assessorati decisivi, postazioni di potere rilevanti, continuità con le politiche fino a oggi perseguite e con investimenti già ben delineati sulla consolidata scia delle “fritture di pesce”. Conte otterrebbe, dal canto suo, di apporre il marchio del suo evanescente partito sulla Regione Campania e la Schlein, nel conteggio delle Regioni conquistate (anche) dal PD, metterebbe una nuova tessera nel mosaico anti-Meloni che, con molta fatica e discutibili risultati, cerca di costruire da qualche anno in compagnia di una “corte dei miracoli” di amiche e amici provenienti da un datato movimentismo antro-sociologico. Personaggi, peraltro, non legittimati da alcuna investitura, anzi spesso impopolari e per nulla formati politicamente. Diciamo che De Luca sta tentando di rendere fungibile il nulla che il PD è riuscito fino a oggi a esprimere: fumose proteste, petizioni di principio (soprattutto contro di lui), promesse virtuali di svolte immotivate e poco altro, con molte accensioni di genere strillate sul registro cerebro-sentimentale. La sua discesa in campo, da traghettatore impareggiabile di sé stesso, avviene dunque nelle acque del niente e si dispiega con successo grazie alla consolidata amoralità del personaggio, che addirittura ha commentato come “corretto” il confronto con Giuseppe Conte, per giunta avvenuto “nell’ambito di una coalizione”. Praticamente, il governatore promette già di consegnare le sue fameliche truppe a un quadro ampio che soltanto con le sue forze potrebbe attivarsi. E lo farà con grande disinvoltura, dimentico delle affermazioni al napalm rivolte al PD e soprattutto ai Cinque Stelle fino a qualche giorno fa. Ma a queste giravolte, determinate unicamente dalla conquista o dalla tutela del potere, De Luca ha abituato tutti da trent’anni. Non c’è chi non sappia che le verità per lui non sono consequenziali ai fatti, non entrano nel linguaggio, nelle cose dette, vale a dire nelle parole, ma maturano in un sottobosco di corridoi, trattative, contiguità, interessi sospetti. Una domanda, però, è lecita: dov’è la Schlein, dov’è quel corso nuovo, assolutamente senza De Luca, promesso fino a dieci giorni fa da Sandro Ruotolo e dall’allegra brigata di propagandisti di nuovo conio lontani dalla realtà di una politica democratica e matura? Dove potranno collocarsi coloro che hanno investito emotivamente sulla presunta novità della neosegretaria, che ha lasciato intendere nell’ultimo anno il decollo verso un pianeta progressista alternativo? Dando per scontato che questi cittadini non potranno votare per la destra meloniana (tra l’altro anche lì non sono pochi i problemi per individuare un candidato credibile), non resta loro che votare per De Luca, per il “suo” centrosinistra, al momento l’unico possibile in assenza di una concreta, nuova politica regionale. E per chi voteranno tutti gli intellettuali che hanno urlato al sole e ai venti che Schlein avrebbe costruito il dopo-De Luca? Anche loro dovranno giocoforza votare per De Luca, a meno di un salto della quaglia inimmaginabile verso esperienze destrorse o verso un astensionismo suicida. La morale della favola, al netto di sorprese dell’ultima ora, è che De Luca vincerà perché è solo in un deserto che, con grande abilità, ha costruito negli anni, mentre la politica si nascondeva e gli uomini di cultura pontificavano contro il suo Sistema, ritenendo erroneamente di poterlo combattere con un’attività culturale analitico-sociologica. Quest’ultima sarà pure entrata in qualche articolo o libro, ma si è rivelata totalmente incapace di incidere nell’opinione pubblica, simile – quest’ultima – a un’orchestra cacofonica che, però, ancora adesso si riconosce nel proprio imperituro direttore.





