Daniela Marinelli, psicologa clinica e dell'età evolutiva: - Le Cronache
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Daniela Marinelli, psicologa clinica e dell’età evolutiva:

Daniela Marinelli, psicologa clinica e dell’età evolutiva:

di Erika Noschese

Negli istituti scolastici dovrebbe essere obbligatoria la figura di uno psicologo. A sostenerlo la dottoressa Daniela Marinelli, Psicologa Clinica e dell’Età Evolutiva, psicoterapeuta, counselor Formatore e presidente Aspic di Salerno.

Come si fa ad aiutare dei ragazzi così giovani ad affrontare un trauma così?

«In realtà non è tanto la domanda sul senso e la comprensione della morte L’evento che è accaduto ieri (lunedì per chi legge ndr) in classe ha a che fare con un trauma relativo alla morte. Rispetto a questi eventi, più faticoso è la facilità e la mancanza di una qualunque preparazione o di un qualunque sintomo che preannunciasse l’accaduto. E’ più difficile accettare una morte improvvisa rispetto ad una morte per malattia che, seppur non cambia il dolore, cambia il modo con cui ci prepariamo al distacco. L’evento di ieri non ha nessuna di queste caratteristiche per cui c’è uno shock tra il prima e il dopo, dove prima c’era la salute piena e dopo la perdita totale e improvvisa, senza una gradualità, senza un saluto. Andrebbero aiutati con lavori di gruppo che andrebbero fatti all’interno del contesto classe con delle esperienze terapeutiche di chiusura e di saluto e con tutto quello che, emotivamente, i ragazzi sentono di poter dire sia a Melissa stessa, sia in relazione a quello che è accaduto».

C’è un iter preciso che, in questo caso, bisognerebbe seguire?

«E’ a discrezione del dirigente scolastico e mi fa piacere che sia già stato preso un provvedimento del genere. Questo però ci riporta al tema di sempre: l’obbligo di uno psicologo a scuola. Al momento in Italia non è ancora prevista una figura obbligatoria ma se ne sente molto il bisogno. E’ chiaro che un solo incontro può non essere sufficiente ma può aiutare i ragazzi a non fare il primo dei grandi errori che si fa in questi casi, il non parlarne o smettere di farlo perché alle volte gli adulti hanno quest’idea che le cose si superino lasciandole lì o tentando di superarle velocemente. In realtà si ha bisogno di attraversarle non scavalcarle. Sarebbe bene aiutare i ragazzi a non accumulare ma esprimere tutto quello che, di volta in volta, desiderano esprimere».

In questi casi è più opportuna una terapia di gruppo o singola, secondo lei?

«Non si escludono. Chi aveva un rapporto più privilegiato e speciale con questa ragazza, probabilmente, avrà bisogno di essere supportato a livello specifico e individuale. Un primo lavoro di classe, almeno di 5 incontri di elaborazione del lutto, sarebbe necessario farli anche per proteggere la classe stessa visto che stiamo all’inizio dell’anno scolastico. Adesso è come se loro avessero sperimentato che, in qualunque momento, può accadere qualcosa di tragico nel corso dell’esistenza e questo li porta a confrontarli con la precarietà del genere umano. Un essere umano si sente fragile dinanzi ad eventi del genere ed è come se le basi possono non reggere».