
di Erika Noschese
Possibile riforma dei medici di medicina generale, meglio noti come medici di famiglia. Secondo la bozza su cui il Governo è al lavoro, i nuovi medici verrebbero assunti dal servizio sanitario nazionale, mentre per quelli già in servizio vi sarebbe la possibilità di scegliere se rimanere convenzionati (liberi professionisti) o accettare il nuovo regime. Cosa cambierebbe in sostanza? Se passa la proposta di legge, i nuovi medici dovranno operare sia nei propri studi che nei nuovi presidi territoriali, Case di Comunità e Ospedali di Comunità, garantendo la copertura dalle 8 alle 20. Si stabilisce un impegno settimanale di 38 ore, suddiviso tra assistenza ai pazienti nei propri studi e attività territoriale. Il Governo, in estrema sintesi, sta cercando di avverare quello che è un sogno che diversi governi bipartisan hanno provato a portare avanti, cioè quello della schematizzazione del sistema orario per la organizzazione e la gestione della medicina generale sul territorio. Ne abbiamo parlato con Giovanni D’Angelo, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Salerno.
Come mai oggi questa riforma sta diventando possibile?
«Non direi che sta diventando possibile; i fatti contingenti diranno quale sarà la realtà. La medicina generale, in qualche modo, è stata sempre una medicina convenzionata, mai con una contrattualizzazione di dipendenza, seppure con regole contrattuali di attività contingentata e regolata da un Ccn firmato col Governo. Dunque una forma di contratto convenzionale, in cui esisteva ed esiste a tutt’oggi una qualche libertà di attuazione della mission nell’assistenza sul territorio».
Compreso il fatto che, soprattutto dal Covid in poi, il medico di medicina generale ha quasi del tutto annullato le domiciliari, per dirne una.
«Certamente la visita domiciliare nel periodo Covid, richiedeva un atto di coraggio, a volte pagato a caro prezzo (oltre 160 medici di medicina generale deceduti nel periodo Covid). La evoluzione dei tempi con la applicazione oggi di nuove tecnologie, che facilitano controlli e attività medica a distanza, ha rapidamente reso nostalgica la medicina di un tempo, che aveva caratteristiche, che forse ancora molti vorrebbero: il medico, che si recava nelle case della gente, che veniva accolto come una persona di famiglia, invitato addirittura a tavola insieme a loro, che si recava presso le famiglie per le visite domiciliari, a volte per confortare la famiglia di fronte a un lutto per la morte di un familiare assistito dal medico. In buona sostanza, una figura che probabilmente sembra quasi storica e stoica: una immagine, che esisteva un tempo ma che difficilmente potremo rivedere».
Un ritorno impossibile.
«Forse è vero, perché i tempi e i modi di risposta ad ogni cosa sono cambiati. C’è una velocizzazione di sistema, che travolge tutto e tutti, lasciando indietro chi ha difficoltà; e questo non è affatto miglioramento della società e della qualità di vita. Non è che andando più veloci si fa meglio. Probabilmente, bisognerebbe fermarsi un attimo e ragionare».
Così è come lo vorrebbero i cittadini. Il Governo, invece, come lo vorrebbe?
«Secondo il Governo attuale, la Medicina Generale dovrebbe essere assorbita nel contesto della medicina pubblica, così come è per l’ospedaliero, quindi in regime di dipendenza. “Dipendente”, un tempo non era una cosa cattiva o negativa; anzi una volta svolgere l’attività medica nel sistema ospedaliero pubblico, da dipendente, era distintivo. Oggi, invece, è diventato un qualcosa che appena si può, il medico ospedaliero dice “Madonna mia, è arrivata la pensione, via, via”, oppure “Non se ne può più, fuggiamo in altra zona di questo Paese (al Nord), oppure andiamo a lavorare in un altro Paese”».
Perché?
«Perché ormai il nostro sistema sanitario ha difficoltà sia sul piano economico, ma anche sul piano organizzativo. Perché poi i due aspetti, quello economico e quello organizzativo, sono un “tout un ensemble”, in stretta dipendenza. In questo senso, un medico di medicina generale trasformato in un dipendente, avrebbe un sapore completamente diverso dal primo e probabilmente, se proprio si deve o si vuole, meglio realizzarlo con una soluzione a due velocità, così da non perdere l’efficienza sia dei resistenti che dei medici più giovani, desiderosi di provare».
In che misura?
«Sicuramente la possibilità di scegliere il medico di medicina generale è, se vogliamo, un aspetto che sa di romantico, non crede? Come quando uno sceglie una donna: ci deve essere, cioè una qualche attrazione nel rapporto tra medico e chi lo sceglie, che in un qualche modo i cittadini, in qualità di pazienti, forse ancora desiderano. “Voglio quel medico, perché mi sembra una persona gentile, o perché mi dicono è sempre disponibile, o perché è molto facile raggiungerlo”. Non poter scegliere più e vedersi assegnato “il medico di famiglia” è una cosa completamente diversa. Si potrà pensare: “Ma tanti altri in ospedale si vedono assegnati il medico, mica lo sceglie la persona; lì è l’opposto”. Sì, però anche lì, 15 anni fa, la persona che andava in un ospedale frequentemente sceglieva: sceglieva l’ospedale, quell’ospedale con quei medici. Oramai invece il sistema sanitario, nella sua organizzazione è costretto far riferimento ad uno schema impersonale, che definirei predefinito, a volte obbligato, nel quale, chiaramente, la scelta è programmata, nel tempo, nel luogo e sulla base della disponibilità prestazionale; almeno che qualcuno possa disporre di una risorsa economica, per una scelta privatistica».
Tanti lamentano il fatto che il medico di medicina generale effettivamente non svolga il proprio ruolo. Si corre il rischio sensibile oggi, che il medico di medicina generale possa essere più tutelato se rimane distante dal paziente. Oltre ciò, c’è una continuità assistenziale, che già oggi non funziona e che con questo nuovo sistema potrebbe ingolfare ulteriormente la sanità.
«Non posso negare che in quel che dice può esserci qualche verità. Lo sappiamo tutti che è così anche nella medicina generale, dove le situazioni di disagio nel rapporto medico-paziente, aumentano sempre più. Bisogna fare delle riflessioni, serie, profonde e sincere. Il rapporto medico-paziente si esprime al meglio se il numero degli assistiti e delle attività che si debbono svolgere, sono umanamente possibili. Non si può pretendere che un medico possa assistere bene un numero di persone, che va al di là del tempo disponibile, magari impedendo anche una conversazione necessaria, oggi classificata sull’ accordo contrattuale, come “tempo di cura”, perché sono queste le situazioni che compromettono il rapporto medico-paziente fino alla degenerazione, con manifestazioni di intolleranza, nel migliore dei casi. E le incombenze di un MMG vanno al di là dell’atto medico; perché la burocrazia regna ancora sovrana nella speranza “lontana” che la informatizzazione possa alleviare l’attuale sofferenza di entrambi: medico e paziente. E quando si fa riferimento alla “continuità assistenziale” un concetto fondamentale nel processo assistenziale, sia che riguardi l’assistenza territoriale sia che riguardi l’ospedaliero, lei esprime il punto di forza di una buona sanità. Oggi, nella medicina generale, se si fanno i conti, in Italia mancano circa 3100 Medici di Medicina Generale, maggiormente al Nord. Si stima che nel 2026 in Campania, con il pensionamento, mancheranno poco più di 300 Medici di Medicina Generale, con un carico di assistiti che cresce, proprio per quei medici che operano in ambiti particolarmente disagiati, come al Sud di Salerno. Fino a poco tempo fa mancavano circa 30 medici nella provincia di Salerno, con crescendo verso il Sud, poi, con il Decreto Calabria, la situazione è lievemente migliorata. Dunque, il problema c’è e allora non sempre si può pretendere una prestazione, che sia parimenti efficiente ed efficace se il numero di medici e speriamo di infermieri operanti in quell’ambito, è tale che non consente una prestazione adeguata ed efficace. La lettura dei giornali di questi giorni e la conoscenza di problemi collegati al pensionamento del medico di medicina generale (oggi il pensionamento per loro passa per la cassa “privata” Enpam, che gode di buona salute), nonché la impossibilità a gestire il Ssn in assenza di una valida medicina generale, la contrarietà allo status di dipendente da parte dei vari sindacati della Medicina generale oltre che della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), le incertezze del Governo, porteranno verosimilmente ad una soluzione concordata, che accoglie la necessità di una forma diversa, più vicina ai pazienti e al tempo stesso la loro presenza per una quota oraria complessiva di 38 ore settimanali, di cui una parte nelle struttura assistenziali in costruzione. Queste ultime, quando saranno terminate, certamente favoriranno la medicina di gruppo, consentiranno l’attivazione della Telemedicina e di altre forme di intervento e monitorizzazione dei pazienti a distanza, renderanno possibile il circuito territorio-Ospedale e viceversa. Su tutto vigilerà la Intelligenza Artificiale, con le sue diverse possibilità. L’errore di fondo, come quasi sempre accade in questo Paese, è immaginare una organizzazione diversa, magari migliore, senza guardare alle risorse umane disponibili e al costo economico globale».