di Alfonso Mauro
Il cor cordis barocco salernitano — già clockwork machine con tanto di pavimento-valvola schiudentesi onde fluire sangue longobardo — di suo buon grado si è prestato e presta alle trasfusioni-contaminazioni culturali che nuova vita infondono a numerosi templi e tempietti italiani altrimenti meri mirandi forzieri anemici sotto il belletto dell’arte figurativa; e quelle musicali, tesoretti particolarmente graditi a una cittadinanza avida di note e cui, dunque, vengono queste porte, donate, propinate a fortiori ratione, hanno animato una complessivamente deliziosa due giorni d’Euterpe affoltati e accoccolati via dal piovoso fine settimana di maggio. Un ascolto sempre gravido di pareri, di fermento; un quasi ininterrotto susseguirsi d’appuntamenti lungo un’intera stagione teatrale e comunale che riprende gli eventi in presenza, e che ha, a corale rammarico, il non sostanziare uno strumento unico, cartaceo o digitale che sia — un unico programma complessivo da consultare con chiarezza onde non esser punti dall’ansia di perdersi qualcosa. “Benedetta Prima…vera!”, sabato scorso virtuosa adagiatasi e fiorita irreprensibile sul legno dell’ottima Raffaella Cardaropoli pluripremiata violoncellista, ma non senza ombre strattonata dalla nervosa Filarmonica del Massimo salernitano agli ordini, a corte dell’ottimo massimo applaudito co-astro di tutto quanto dirige; Il Maestro Daniel Oren, ospiti, in ordine di crescente agio: W. A. Mozart, con la sinfonia n.40 in sol minore K 550 (1788) sì intrisa di quasi preromantica introspezione, appassionata e a tratti sforzata, drammatica, ma troppo appesantitasi e agglutinatasi, e particolarmente afflitta da un corno cui è sconfinferato indurci al trasalimento lungo tutto il concerto con sue raucedini più drammatiche ancora; e F. J. Haydn, sinfonia n.88 in sol maggiore Hob. I/88 (1787) fortunatamente in parte restituita alla brillante eleganza del Maestro di cappella a corte degli Esterházy, e il concerto in do maggiore per violoncello e orchestra Hob. VIIb/1 (1761-65) in cui la Cardaropoli spicca e sovrasta tutti sia ovviamente per ruolo che per vis musicae. Intanto il programma -“guida” all’ascolto: cartaceo velivolo planante verso la differenziata non solo citando il concerto e basta (qualche smaliziato poi fortunatamente smentito si sarà domandato a che pro scarsi 25 minuti di concerto, per magistrale che potesse essere) ma altresì orfano del gentil braccetto che la Critica suol porgere all’uditorio onde condurlo a informato deambulo sul pentagramma; e poi le asperità logistiche che un gratuito far musica in sala piuttosto piccola comporta: tutto sommato composto e costumato il pubblico, ma considerevolmente traboccante — onda cui visibilmente affannato argine hanno organizzatori e responsabili tentato di (dis-)avventurare. Nervosa e gravata la sinfonia n°40; meglio la sinfonia n°88, famosa nonostante priva del consueto titolo o delle fortunate ispirazioni parigina e londinese; meglio di tutti il talentuoso violoncello, provato altresì in un ammaliante bis novecentesco il Preludio-Fantasia di Gaspar Cassadó — e tal che altri motti in sua lode rischierebbero il pleonastico, avendo ella già assai eloquentemente parlato (suonato) per sé e per noi, con nostro gradito diletto. E poi la schiusa, domenica della seconda edizione di “Salerno Classica”: F. Schubert, ottetto in Fa maggiore D. 803 op. 166 — pezzo di considerevole sforzo performativo, nonostante l’apparente nitore dell’ordinatezza classica imposto al sobbollire, al fremere romantico della tarda Prima Scuola di Vienna, ma con squisita finezza e leggerezza enucleato dall’Ensemble Lirico Italiano. Bene, molto. Bissato il terzo movimento. Più esiguo ma più attento il pubblico; copiose le note di sala, stavolta, e con tanto di guida all’ascolto anche in formato smartphone-friendly — anche un risparmio cartaceo. A pensarci…Tu quoque, cornu? Se, il vespro antecedente, lo stesso corno che aveva bruttato l’incipit della rossiniana Cambiale di Matrimonio al Verdi ci ha nuovamente lasciati meravigliare circa il sibillino motivo onde non venga accompagnato all’egresso, accarezzatogli il preterito dalle suole della direzione, al corno dell’8 (quando è ben altra la qualità singola e complessiva) abbiamo potuto accordare e confidare un serio beneficium dubii — tendendo anzi meglio l’orecchio per i bei momenti che Schubert ha affidato al mai facile ottone. Di Salerno Classica abbiamo già modo avuto d’apprezzare, si parva licet, la più artigianale e dunque sincera e meglio riuscita organizzazione; e con il violoncello, personale accoglitore di molto del vegnente pubblico nonché dante felice prolusione al dilettoso vespro orante l’arduo ma magnificamente eseguito brano. La “benedetta” primavera del Verdi e della Classica sboccia tra la gente (sempre un bene), e ci ha benedetti (dicendo bene) nell’ascolto della Cardaropoli, e di Giuseppe Carotenuto (violino), Lorenza Maio (violino), Martina Iacò (viola), Francesco D’Arcangelo (violoncello), Luigi Lamberti (contrabbasso), Giuseppe Cataldi (clarinetto), Fabio Marone (fagotto), Luca Martingano (corno); a corte d’Oren e a Scuola del violoncello solo e dell’Ensemble — dalle corti austriache tutte leziose sorprese e argute amenità di galanteria neoclassica, fino agli albori delle scuole nazionali ricomponenti a lor modo il dissidio-accordo tra Classico e Romantico, tra la di sempre compostezza del mestiere e gli appena precedenti e viepiù crescenti poi “abissi dell’anima”, come dal musicologo tedesco Alfred Einstein detto circa gli svolgimenti armonici della sinfonia di Mozart. Anche all’ascolto giova una prospettiva diacronica.